sabato 8 novembre 2014

Da zero a +1 (recensione Dimentica il mio nome)

Dimentica il mio nome è il più bel fumetto finora pubblicato da Zerocalcare. Di certo il migliore dei “lungometraggi” del giovane autore romano. Si ride tanto e ci si commuove un po’. Ingredienti nuovi e graditi sono un bella dose di mistero e qualche bella scena d’azione.  Tra qualche anno qualcuno gli riconoscerà (insieme a Maddox) di aver rinnovato e trasportato nel ventunesimo secolo la gloriosa tradizione delle strip all’italiana. Zero è l’erede di Bonvi, Silver, Enzo Lunari, Angese, Sergio Staino e Disegni&Caviglia (li ho messi secondo il mio personalissimo ordine di grandezza).

Per la capacità di parlare alla propria generazione Zerocalcare può persino aspirare ad Andrea Pazienza, per ora il paragone non è proponibile, anche se proprio questo volume è un passaggio importante verso qualcosa. Quando si passa alla graphic novel  Zero sembra sempre costretto ad adattarsi, come Federer sulla terra rossa. Stavolta la trama mantiene la giusta tensione per le oltre 200 pagine e cresce nel finale. A differenza di Dodici e di un Polpo alla gola il risultato è più solido, in entrambi i precedenti casi la storia di fondo appariva un pretesto per una serie di gag da una-due tavole. Stavolta - aiutato da una serie di fatti “reali” che riguardano la giovinezza di sua madre e sua nonna - lo Zero sceneggiatore sembra alleggerito dalla difficoltà della costruzione di una storia e riesce a concentrarsi sull’effetto finale, la qualità dei dialoghi, sperimenta persino qualcosa dal punto di vista grafico. Meno inquadrature fisse “stile strip” è più vignette in movimento e perfino qualche splash page.

Specie nelle opere lunghe traspare il timore dell'autore non avere qualcosa di “degno” da dire, di apparire troppo leggero. La sua comicità nasce da una severità morale di cui lui è prima vittima. Per quanto il suo amico armadillo continui a gridargli di fottersene, sembra inesorabilmente segnato sia dalla gioventù nei centri sociali in cui tutto è sottoposto a verifiche di conformità politica e “purezza” (vestiario, alimentazione, luoghi di divertimento, generi musicali, film e libri); sia dal presente da star dei social in cui il giudizio del pubblico è continuo e onnipresente (altrettanto spesso ingiustificato). Ormai ha il troll incorporato che deve imparare a domare per fare un ulteriore passo e guadagnare sicurezza nello storytelling

L'indagine sul vero passato della sua famiglia è avvincente, la commistione reale-fantastico permette persino di scomodare Murakami di Kafka sulla spiaggia. E c'é anche una morale per il protagonista e i lettori: il mondo là fuori, l’intreccio del vissuto delle persone, è una cosa enorme, più grande di qualsiasi sistema etico, giuridico, ideologia politica e persino logica-razionale. Sotto sotto Zero ammette che esserne accorto solo a trent’anni è una colpa. Io aggiungo che è una tara generazionale-nazionale di chi ha passato una giovinezza troppo facile e troppo spiaccicata sui divani dei genitori a discettare di cose che sono lì a portata di tv e computer, ma che non si conoscono davvero.

p.s. Naturalmente la cosa più importante è che si ride parecchio. Val la pena ribadirlo dopo tutto sto pippone