Non esistono formule, slogan, analisi in grado di razionalizzare la strage di 19 persone avvenuta in Francia. Le pattuglie sotto la mia redazione mi ricordano più di ogni altra cosa quanto le nostre "libertà" siano fragili di fronte al fanatismo e alla follia altrui ( figlia della disperazione e della rabbia umane, senza scomodare gli Assoluti e le chiamate divine).
Charb, Wolinski e tutti gli altri erano "in prima linea" a rivendicare il diritto allo sberleffo, alla critica ad ogni forma di potere costituito, specie se ammantato da sacralità che serve soprattutto a dare l'immunità agli uomini che di vestono del mandato divino. Quindi il problema non era se facessero bella o brutta satira, se si siano disegnati incoscientemente o volontariamente un bersaglio addosso. Quei colleghi morti e feriti nella redazione di Charlie Hebdo era gente molto simile a me per tipo di vita, valori e questo rende la loro vicenda ancora più spaventosa ai miei occhi.
Ma mi chiedo: ne valeva la pena? Esiste una determinante differenza tra chi è disposto a dare la vita per qualcosa in cui crede e chi vuole farlo a tutti costi (di certo vale per gli attentantori).E' da questo che si misura la qualità morale di una persona?
La risposta l'ho letta in un manga di 40 anni fa: "Verso una nobile morte" di Shigero Mizuki, da noi più famoso per Kitaro e Nonnonba. Uscito nei primi anni 70 in Giappone e pubblicato da Lizard un paio di anni fa in italiano. Mizuki racconta la sua esperienza di soldato in una sperduta isola del Pacifico nel 43. I generali dell'esercito giapponese hanno forse già capito di non poter vincere contro gli Stati Uniti e per questo trasformano la guerra in qualcosa di ancor più folle. Senza mezzi e senza speranza di vittoria, la sopravvivenza diventa il male peggiore. Gli ufficiali cercano una morte onorevole o un suicidio rituale che li mondi dalla sconfitta. I soldati, oltre che combattere contro fame, malattia e bombe, devono sottostare ad un regime privo di qualsiasi buon senso.
Si tratta di una satira della guerra non attraverso la parodia, ma illustrandone con fatti reali la totale irrazionalità. Il sistema di regole, valori e propaganda proprio di "uno stato di guerra" in teoria sarebbe un male necessario a ottenere il bene comune della vittoria, ma in realtà è solo una giustificazione posticcia per compiere soprusi, colpire innocenti e convincere delle persone normali a sacrificare la propria vita o compiere azioni disumane.
Alla fine è chiaro che non esistono nobili morti, nessuna carica suicida, nessun gesto eroico, nessun seppuku cambia che in guerra ci sono quasi solo vittime mentre i carnefici sono una minoranza, l'unica che sceglie volontariamente di imbracciare le armi.
Il modo in cui si muore non migliora il modo in cui siamo vissuti
Leggendo penso a tutti quelli - anche tra i "moderati"- che ammettono con leggerezza "siamo in guerra". Ci stanno dicendo di prepararci a rinunciare alla libertà, ai diritti e persino alla nostra vita. Sarà colpa del nemico sanguinario e malvagio, non di chi ci darà gli ordini in nome di Dio, del patriottismo o dei nostri valori. I macellai diventeranno eroi, i disperati diventeranno martiri, i fanatici saranno leader. Ecco, io combatto contro l'inevitabilità della guerra.
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