Nel post precedente vagheggiavo di una "non fiera" del fumetto dove si parla e disegna tanto e si compra poco. Scopro che esiste già, ad Edinburgo, collegata alla fiera internazionale del libro che tengono in agosto.
Si chiama Stripped e ha un programma di tutto rispetto grazie anche alle celebrità locali (nel senso di scozzesi purosangue) come Grant Morrison e Denise Mina a cui si aggiungono superstar come Gaiman, Sacco e Ware. Strano manchi il più scozzese di tutti Mark Millar.
Non male, non male davvero. Rimango convinto che anche in Italia si potrebbe fare qualcosa del genere e con risultati anche migliori
martedì 25 giugno 2013
lunedì 10 giugno 2013
Un'idea dal festival delle idee
Grande vittoria fuori casa per il fumetto italiano. Tra risate, omaggi ai grandi maestri e sprazzi di saggezza di strada, il direttore di XL Luca Valtorta ha sapientemente messo dietro un microfono tre generazioni di autori: Gipi, Roberto Recchioni e Zerocalcare. Grande pubblico, direi trecento persone (anche se per la questura erano meno di cento ). Più del numero esatto, comunque consistente, conta il fatto che un gruppo così nutrito è rimasto per oltre un’ora ad ascoltare e a divertirsi con gli aneddoti dei tre in un’atmosfera molto rilassata e tutt’altro che banale. Se a piazza della Signoria si dibatteva di grandi temi, ma si faceva soprattutto vetrina, tra i nerd del fumetto è successo davvero quello che il festival si propone: scambiarsi delle idee.
Merito soprattutto degli autori. Gipi, il più vecchio dei tre (classe 65), ha accettato di buon grado il ruolo di “zio buffo”, ed ha allietato la platea con gli aneddoti dei suoi esordi di Graphic journalist per Cuore. Folla in tripudio al racconto di come a Scampia sia finito in balia di una banda di minidelinquenti e ci abbia lasciato un orecchio. In realtà tutti, soprattutto dietro il tavolo, sapevano che l’unico vero artista presente era lui e Recchioni e Zero lo hanno rimarcato con ammirazione sincera. Da lettore temevo che Gipi fosse perso, rapito definitivamente dalle sirene del cinema, per fortuna non è così: il ragazzo pensa e racconta (a volte parla persino) ancora a fumetti.
Roberto Recchioni partiva svantaggiato, il meno conosciuto dei tre, almeno per un pubblico di lettori casuali e non di geek da convention, ma era quello con più cose da dire e lo ha fatto con il suo solito piglio: opinioni nette, ruvide, spesso contestabili, ma sempre intelligenti. Mi ricorda il primo Sgarbi ;-P. Peraltro Recchioni, evidentemente reduce da mesi di riunioni in Bonelli, ha spesso preso il punto di vista dell’editore, ha parlato di modelli economici, di copie vendute, visibilità. Direi che gli piace un casino atteggiarsi da “portavoce della Bonelli” come dice lui, anche se poi esprime delle opinioni parecchio eterodosse rispetto all’editore milanese. Non ha detto l’unica frase che mi premeva: “E’ vero ho ucciso John Doe, ma ero giovane, inesperto, avevo bisogno di soldi, mi si era allagata casa, avevounconflittoirrisoltoconmiopadreenonciavevoisoldiperlanalista, LE CAVALLETTE ! Stragiuro che non farò gli stessi errori con Dylan Dog”. Rimango in attesa
Zerocalcare ha passato un anno a sentirsi dire che è un fenomeno, o meglio “il” fenomeno, glielo urlano i dati delle vendite, i like su Facebook, e un numero spropositato di colleghi. Lui è ancora convinto che sia tutto un equivoco, anche a Firenze si guardava intorno come se da un momento all’altro l’incantesimo dovesse rompersi e di colpo qualcuno potesse alzarsi e dire: “Ma che ci fa quello sfigato da centro sociale con dei professionisti?”. Il fatto che per buoni 10 minuti abbia piovuto dal lato di Valtorta e ci fosse il sole dal suo ha sicuramente rafforzato la convinzione godere in un momento di innaturale grazia (che pagherà pesantemente). Sono sicuro che la vivrebbe come una liberazione, per ora godiamocelo e speriamo che un sano pragmatismo di periferia tenga lontani certi propositi come “il voler usare tanta visibilità per argomenti più seri” come ha ammesso gli succede di pensare.
La formula ha funzionato , persone diversissime che popolano lo stesso mondo, che hanno qualcosa d’interessante da dire. Una sorta di jam session fumettistica in grado di reggere palcoscenici fuori dalle solite riserve indiane delle fiere del fumetto. Anzi mi è sembrato nei tre ci sia la voglia di uscire più spesso da quei recinti visto che tra cosplayer, videogiochi e bancarelle di noccioline, gli autori spariscono sempre più nelle mostre-mercato.
Sarà che sono di Repubblica ed ero a Repubblica delle Idee, ma mi è venuta un’idea. Una bella “non fiera” del fumetto. Ormai nell’ambiente ci sono abbastanza teste pensanti e gli ingredienti giusti. Editori/autori illuminati come Makkox o Igort. Artisti veri come Gipi, Fior e Frezzato. Nomi di portata internazionale come Camuncoli, Carnevale, Francavilla, Simone Bianchi. Star straniere che bazzicano volentieri in Italia (Bermejo, Jim Lee, David Lloyd). Mostri sacri da omaggiare come Giardino, Sclavi, Liberatore. Una tre giorni dove si vende poco e si chiacchiera e disegna tanto (cioè tipo Angouleme). Non deve essere per forza una serie di pallose tavole rotonde (e Firenze lo ha dimostrato). Io penso che mi divertirei a sentire un dibattito tra Lupoi e Recchioni sulle lotta per lo spazio in edicola e l’invasione dei fumetti stranieri in Italia. Igort che ricorda il gruppo Valvoline. Makkox (magari con un comico di professione) che parla della satira al tempo di Facebook e così via....
Un sogno....
Merito soprattutto degli autori. Gipi, il più vecchio dei tre (classe 65), ha accettato di buon grado il ruolo di “zio buffo”, ed ha allietato la platea con gli aneddoti dei suoi esordi di Graphic journalist per Cuore. Folla in tripudio al racconto di come a Scampia sia finito in balia di una banda di minidelinquenti e ci abbia lasciato un orecchio. In realtà tutti, soprattutto dietro il tavolo, sapevano che l’unico vero artista presente era lui e Recchioni e Zero lo hanno rimarcato con ammirazione sincera. Da lettore temevo che Gipi fosse perso, rapito definitivamente dalle sirene del cinema, per fortuna non è così: il ragazzo pensa e racconta (a volte parla persino) ancora a fumetti.
Roberto Recchioni partiva svantaggiato, il meno conosciuto dei tre, almeno per un pubblico di lettori casuali e non di geek da convention, ma era quello con più cose da dire e lo ha fatto con il suo solito piglio: opinioni nette, ruvide, spesso contestabili, ma sempre intelligenti. Mi ricorda il primo Sgarbi ;-P. Peraltro Recchioni, evidentemente reduce da mesi di riunioni in Bonelli, ha spesso preso il punto di vista dell’editore, ha parlato di modelli economici, di copie vendute, visibilità. Direi che gli piace un casino atteggiarsi da “portavoce della Bonelli” come dice lui, anche se poi esprime delle opinioni parecchio eterodosse rispetto all’editore milanese. Non ha detto l’unica frase che mi premeva: “E’ vero ho ucciso John Doe, ma ero giovane, inesperto, avevo bisogno di soldi, mi si era allagata casa, avevounconflittoirrisoltoconmiopadreenonciavevoisoldiperlanalista, LE CAVALLETTE ! Stragiuro che non farò gli stessi errori con Dylan Dog”. Rimango in attesa
Zerocalcare ha passato un anno a sentirsi dire che è un fenomeno, o meglio “il” fenomeno, glielo urlano i dati delle vendite, i like su Facebook, e un numero spropositato di colleghi. Lui è ancora convinto che sia tutto un equivoco, anche a Firenze si guardava intorno come se da un momento all’altro l’incantesimo dovesse rompersi e di colpo qualcuno potesse alzarsi e dire: “Ma che ci fa quello sfigato da centro sociale con dei professionisti?”. Il fatto che per buoni 10 minuti abbia piovuto dal lato di Valtorta e ci fosse il sole dal suo ha sicuramente rafforzato la convinzione godere in un momento di innaturale grazia (che pagherà pesantemente). Sono sicuro che la vivrebbe come una liberazione, per ora godiamocelo e speriamo che un sano pragmatismo di periferia tenga lontani certi propositi come “il voler usare tanta visibilità per argomenti più seri” come ha ammesso gli succede di pensare.
La formula ha funzionato , persone diversissime che popolano lo stesso mondo, che hanno qualcosa d’interessante da dire. Una sorta di jam session fumettistica in grado di reggere palcoscenici fuori dalle solite riserve indiane delle fiere del fumetto. Anzi mi è sembrato nei tre ci sia la voglia di uscire più spesso da quei recinti visto che tra cosplayer, videogiochi e bancarelle di noccioline, gli autori spariscono sempre più nelle mostre-mercato.
Sarà che sono di Repubblica ed ero a Repubblica delle Idee, ma mi è venuta un’idea. Una bella “non fiera” del fumetto. Ormai nell’ambiente ci sono abbastanza teste pensanti e gli ingredienti giusti. Editori/autori illuminati come Makkox o Igort. Artisti veri come Gipi, Fior e Frezzato. Nomi di portata internazionale come Camuncoli, Carnevale, Francavilla, Simone Bianchi. Star straniere che bazzicano volentieri in Italia (Bermejo, Jim Lee, David Lloyd). Mostri sacri da omaggiare come Giardino, Sclavi, Liberatore. Una tre giorni dove si vende poco e si chiacchiera e disegna tanto (cioè tipo Angouleme). Non deve essere per forza una serie di pallose tavole rotonde (e Firenze lo ha dimostrato). Io penso che mi divertirei a sentire un dibattito tra Lupoi e Recchioni sulle lotta per lo spazio in edicola e l’invasione dei fumetti stranieri in Italia. Igort che ricorda il gruppo Valvoline. Makkox (magari con un comico di professione) che parla della satira al tempo di Facebook e così via....
Un sogno....
domenica 2 giugno 2013
Perfetto Golgo 13 e la lezione dei matusa italiani
E’ un esempio di alto artigianato Golgo 13. Il cofanetto con 13 storie pubblicato in Francia e da noi da Jpop apre uno squarcio su uno dei grandi misteri del mondo dei manga. In un mercato da migliaia di titoli che macina le mode e i personaggi con una bulimia senza uguali, Golgo 13 è muto, immobile e compie le sue gesta da 45 anni ininterrotti. Mi fa pensare al nostro Diabolik, simili per longevità e per, passatemi il neologismo, “iconicità”.
Tanto è immobile nel suo universo il nostro ladro, tanto è solido il killer professionista Duke Togo nella ripetitività delle sue storie. Con Diabolik condivide il periodo e l’humus culturale che a metà degli anni 60 rendeva tanto “cool” personaggi amorali, ma comunque eccezionali nelle loro specialità criminale e nella loro vita fuori dalle regole della società normale. Scarsa anche la caratterizzazione psicologica dei protagonisti che si raccontano poco, lasciando ai personaggi di contorno tutto il peso “emotivo” delle loro avventure. Alla fine tanta impenetrabilità diventa la chiave del fascino e della longevità di questi eroi maledetti. L’autore Takao Saito ha ammesso che nel corso degli episodi Duke ha parlato (e pensato) sempre meno, proprio che allungarsi la vita
Ho parlato di alto artigianato perché in Golgo le pretese artistiche devono convivere con precise necessità funzionali e commerciali. Inesistente continuity per mettere a proprio agio il lettore occasionale, zero sperimentazione su trame e svolgimento dell’azione. Disegni identici pur nello scorrere dei decenni. Saito “garantisce” un prodotto, ma non scrive e disegna sempre più raramente il manga, avendo messo su una bottega di tutto rispetto. Tanto che nell’intervista alla fine del terzo volumetto elenca, senza troppi pudori, una dozzina di canovacci. Cambiate ambientazioni geografiche e saccheggiati spunti da 40 anni di cinema noir e d’azione e il gioco è fatto, per circa 180 volumi. Perché Golgo nasce quando le storie su carta erano soprattutto un succedaneo dei film, intrattenimento a buon mercato sia per gli autori che per i lettori
Siete molto lontani dalla verità se pensate che tutto questo renda Golgo poco godibile, anzi le 13 storie scorrono via come acqua fresca in un giorno d’estate. Forse datate, a volte prevedibili con i 20-30 anni che sono passati dalla loro prima pubblicazione. Sono comunque perfette, in grado di ricreare le atmosfere dei film sui dirottamenti, le saghe spionistiche alla Fleming, persino qualche western o i film carcerari. Golgo letteralmente non sbaglia un colpo: è al tempo stesso straordinario e credibile.
Piccola notazione personale. L’episodio nel primo volumetto che simula un incidente nucleare, scritto prima di Chernobyl, è inappuntabile in ogni notazione tecnica, in ogni dialogo e in ogni misurazione e terminologia. Ho scritto due libri “divulgativi” sull’argomento 30 anni dopo e non ho visto nessuna “licenza romanzesca” da parte dello sceneggiatore, né errore dovuto a conoscenze superate. Chapeau!!
Anche in Italia i fumetti si facevano così (forse appena meno accurati) e vendevano centinaia di migliaia di copie. Da noi a Tex rimane il titolo più venduto in edicola, l’esercito dei lettori si è ridotto e il peso culturale del fumetto è da sempre marginale, pur con qualche piacevole eccezione autoriale.
In Giappone, lo sapete, si è sperimentato tutto e il contrario di tutto producendo infinite nicchie, un mercato mainstream immenso e i fumetti sono un prodotto industriale-culturale che primeggia nelle statistiche delle esportazioni nipponiche nel mondo. Golgo a Tokyo è una curiosità, un “residuato” per nostalgici, da noi i matusa sono ancora lì a tirare la carretta. Ogni Paese ha i fumetti che si merita
Tanto è immobile nel suo universo il nostro ladro, tanto è solido il killer professionista Duke Togo nella ripetitività delle sue storie. Con Diabolik condivide il periodo e l’humus culturale che a metà degli anni 60 rendeva tanto “cool” personaggi amorali, ma comunque eccezionali nelle loro specialità criminale e nella loro vita fuori dalle regole della società normale. Scarsa anche la caratterizzazione psicologica dei protagonisti che si raccontano poco, lasciando ai personaggi di contorno tutto il peso “emotivo” delle loro avventure. Alla fine tanta impenetrabilità diventa la chiave del fascino e della longevità di questi eroi maledetti. L’autore Takao Saito ha ammesso che nel corso degli episodi Duke ha parlato (e pensato) sempre meno, proprio che allungarsi la vita
Ho parlato di alto artigianato perché in Golgo le pretese artistiche devono convivere con precise necessità funzionali e commerciali. Inesistente continuity per mettere a proprio agio il lettore occasionale, zero sperimentazione su trame e svolgimento dell’azione. Disegni identici pur nello scorrere dei decenni. Saito “garantisce” un prodotto, ma non scrive e disegna sempre più raramente il manga, avendo messo su una bottega di tutto rispetto. Tanto che nell’intervista alla fine del terzo volumetto elenca, senza troppi pudori, una dozzina di canovacci. Cambiate ambientazioni geografiche e saccheggiati spunti da 40 anni di cinema noir e d’azione e il gioco è fatto, per circa 180 volumi. Perché Golgo nasce quando le storie su carta erano soprattutto un succedaneo dei film, intrattenimento a buon mercato sia per gli autori che per i lettori
Siete molto lontani dalla verità se pensate che tutto questo renda Golgo poco godibile, anzi le 13 storie scorrono via come acqua fresca in un giorno d’estate. Forse datate, a volte prevedibili con i 20-30 anni che sono passati dalla loro prima pubblicazione. Sono comunque perfette, in grado di ricreare le atmosfere dei film sui dirottamenti, le saghe spionistiche alla Fleming, persino qualche western o i film carcerari. Golgo letteralmente non sbaglia un colpo: è al tempo stesso straordinario e credibile.
Piccola notazione personale. L’episodio nel primo volumetto che simula un incidente nucleare, scritto prima di Chernobyl, è inappuntabile in ogni notazione tecnica, in ogni dialogo e in ogni misurazione e terminologia. Ho scritto due libri “divulgativi” sull’argomento 30 anni dopo e non ho visto nessuna “licenza romanzesca” da parte dello sceneggiatore, né errore dovuto a conoscenze superate. Chapeau!!
Anche in Italia i fumetti si facevano così (forse appena meno accurati) e vendevano centinaia di migliaia di copie. Da noi a Tex rimane il titolo più venduto in edicola, l’esercito dei lettori si è ridotto e il peso culturale del fumetto è da sempre marginale, pur con qualche piacevole eccezione autoriale.
In Giappone, lo sapete, si è sperimentato tutto e il contrario di tutto producendo infinite nicchie, un mercato mainstream immenso e i fumetti sono un prodotto industriale-culturale che primeggia nelle statistiche delle esportazioni nipponiche nel mondo. Golgo a Tokyo è una curiosità, un “residuato” per nostalgici, da noi i matusa sono ancora lì a tirare la carretta. Ogni Paese ha i fumetti che si merita
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