venerdì 10 gennaio 2014

Non capisco i bonelliani-- Parte 1

Non capisco i Bonelliani. Ho sempre pensato che i fan delle testate Bonelli fossero una tribù a parte, non conciliabile con il resto del fandom fumettistico italiano.
Una convinzione che ha radici antiche, risale ai primi anni 90,quando le fiere del fumetto erano poche (Lucca ed Expocartoon di Roma) e molto meno frequentate di adesso.
Noi eravamo i barbari, la linfa nuova portati dai manga e dai comics ultracolorati stile Image. Loro erano i “vecchi”, li vedevi porsi ordinati in lunghe file indiane davanti allo stand Bonelli per uno schizzo o una stretta di mano con i disegnatori di turno.
Tanto erano silenziosi, tanto noi rumorosi con le nostre sigle e parodie. I loro eroi vivevano in un bianco e nero statico fatto di personaggi in posa e primi piani, nel nostro mondo tutto era coloratissimo e "animato" di luci fiammeggianti e filtri photoshop (nel peggiore dei casi retinati fino all’inverosimile).

Il bonelliano discettava di tavole, interpretazioni grafiche e riferimenti a oscuri film degli anni 50. Il top delle nostre discussioni era se Ranma avrebbe potuto battere Goku o se (per gli americanofili) Sara Pezzini era più o meno t*****bile di Caitlin Fairchild. Altro spartiacque era il movente per cui ci trovavamo tutti in fiera. La fila e il disegno occupavano tre quarti del loro tempo, qualche chiacchiera, forse uno sguardo agli stand degli antiquari e tutto finiva li.
I giovani neanche li guardavano i fumetti (si trovavano comodamente in fumetteria la settimana dopo, dove i bonelliani non avevano bisogno di entrare). L’occasione unica erano poster, magliette, cd e tutto quanto si poteva importare da Giappone e Stati Uniti.

Vivevamo la passione in modo diverso, i mangofili a malapena sapevano chi fossero Dylan Dog o Nathan Never, altri come Tex, Mister No o Nick raider erano lasciati senza rimpianti a padri, fratelli maggiori e cugini grandi. Ciò che mi dava la sicurezza che non ci saremmo mai mischiati era il modo in cui loro si approcciavamo a fumetti e agli autori. I Bonelliani erano lì a portata: Stano, Casertano, Serra, Roi (tutti nomi che ci dicevano poco), ma non erano oggetto dell’idolatria fanatica di cui eravamo capaci noi per l’unico autore l’anno che cadeva dalle parti di Lucca. Gli altri, mostri sacri come Rumiko Takahashi, Toriyama, Adachi, Otomo, Shirow, Nagai erano a malapena conosciuti via foto, ma trattati come fossero nostri vicini di casa

Eppure per il mondo esterno, i bonelliani erano "gli appassionati di fumetti": quegli albi li trovavi, saltuariamente, anche nelle librerie "dei grandi" e chi li comprava non doveva rassicurare madri e zie sul fatto che non ci fossero perversioni pornografiche o immagini violente e traumatizzanti.

Ma non ci importava. Noi avevamo il fuoco della passione, loro l'aplomb degli "spettatori". E non avevano niente che potessimo invidiare.

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