domenica 8 dicembre 2013

Crescere con habibi

Habibi è un romanzo potente, ambizioso, complesso. Il suo autore, Craig Thompson, aspira - con ottime probabilità di riuscirci - ad entrare nella ristretta cerchia di Spiegelman, Ware, Mazzucchelli, il nostro Gipi. Cioè autori per i quali nessuno si spaventa a utilizzare termini come letteratura, poetica o messaggio. Le loro opere vanno messe in biblioteca (e vendute in libreria) insieme ai colleghi scrittori non-disegnatori.

Un ulteriore traguardo raggiunto da Thompson in questo suo terzo "romanzo disegnato" è essersi completamente affrancato da ogni autobiografismo, unico criterio utile distinguere le opere veramente valide in un genere, quello della graphic novel adulta, ormai fin troppo affollato di "diari", amarcord e soliloqui.

Cinque anni di lavoro, e soprattutto di documentazione, gli  hanno permesso di costruirsi una sua visione del mondo arabo moderno. Con nessuna pretesa di scientificità o completezza, l'artista sceglie ciò che lo colpisce

Il plauso intellettuale si scontra però con il gusto. Habibi non mi è piaciuto nel senso più semplice dell'espressione. Non è stata un'esperienza spensierata, zero immedesimazione con i personaggi, un gravoso senso di angoscia si è sistemato alla bocca dello stomaco per la settimana che è durata la lettura. I temi cari all'autore dai tempi di Blanketts ci sono tutti. Il peccato, la tentazioneil desiderio fisico vissuto come l'anticamera della caduta degli uomini verso il male. Nell'ottimo lavoro di scavo su una cultura diversa sono emersi i punti comuni alla sua formazione  cristiano-fondamentalista (rinnegata, ma decisamente presente): la religione è un'esperienza punitiva e totalitaria in grado di togliere ogni gioia di vivere.

Non mi piace neanche che, come in Blanketts, l'emancipazione dalla ragnatela di coercizione e superstizione dei personaggi non porti alla conquista della felicità, ma solo ad un maggior senso di solitudine e spaesamento. Con un'aggiunta tutta nuova: i rimandi all'inquinamento e alla violenza verso la natura come metafora fin troppo scoperta dell'incapacità degli uomini di fare il proprio bene e godere dei doni di Dio

Se non fosse stato un fumetto, ma un semplice romanzo, non l'avrei degnato di uno sguardo. Invece l'importanza di questa opera per l'affermazione anche fuori da giro degli appassionati mi ha costretto a entrarci dentro,  a confrontarmi con una visione tanto diversa dalla mia.

Ma forse diventare adulti, anche per fumettisti e fumettari, significa comprendere che non si può vivere solo degli zuccherini che titillano il nostro animo di fan, o ci esaltano (o che grattano certi pruriti). Ma significa scoprire anche ingiustizie, responsabilità, doveri. I bambini amano carezze e lodi, forse possono accettare una sfida se posta con arguzia. Ma scappano dalla frustrazione, non accetteranno mai che la realtà è spesso indifferente ai loro desideri, loro preferiscono "fare finta che"

C'è tra gli appassionati tanta voglia di godersi invece il proprio isolamento, rintanarsi nei ghetti di citazioni, convention e riletture dei propri idoli. Era vero in passato dove gli spazi erano angusti, Figuriamoci ora che ci sono centinaia di ore di film e telefilm, milioni di pagine di fumetti e libri e centinaia di sceneggiatori al lavoro  24 ore su 24 per noi.  Si può passare una vita intera dall'adolescenza alla vecchiaia senza interessarsi d'altro.

Là fuori c'è un mondo più complesso, da vedere e trasportare su tavole e vignette, senza rinnegare sensibilità e valori che su altretavole e vignette si sono formate. Più il fumetto diventa main stream e meno questa consapevolezza diventa urgente. Sarà anche l'ombelico più bello del mondo, ma rimane un ombelico.

venerdì 22 novembre 2013

Omaggio a Jfk. Vertigo style

Un'aurea di ossa e cervello sulla testa inclinata di Jack

c'è un buco dietro la testa del presidente, dal quale cuore e anima degli americani sanguinano da quasi 30 anni

e ancora sanguinano

ancora colano dal coagulo di viscida speranza e innocenza,
fu il grande martire americano, testimone della nuova era

era Kennedy, il primo primo presidente nato in questo secolo, John Fitzgerald Kennedy

Doveva morire assassinato,
doveva morire per diventare un simbolo

da vivo era troppo umano per essere un simbolo, o quantomeno per rimanere tale

"il disastro della baia dei porci, il Vietnam, scoparsi la donna del boss della mafia alla Casa bianca
mettere le mani sotto la gonna di Marilyn Monroe. Come hai potuto?"

"Stai dicendo che tu non lo faresti se ne avessi la possibilità? Con Marilyn?
A ogni modo non puoi essere presidente degli Stati Uniti ed essere innocente è un ossimoro"

ma non è questo il punto, Jack proprio per niente, i simboli di pace libertà cambiamento non fanno questo genere di cose. I simboli dovrebbero rappresentare qualcosa, quindi prima di cadere dovrebbero risaltare, lasciare uno spazio vuoto…

…che noi si possa riempire con i nostri sogni caotici e disordinati

i tuoi denti saranno sempre bianchi e perfetti, la tua giovane moglie sarà sempre impeccabile e bellissima (non vogliamo pensare a lei e a quel viscido greco, quella è un'altra donna).

Il tuo sguardo ammiccherà sempre sul quel bel viso, Jack

ammicherà indicando un posto dove solo tu puoi condurci

Peter Milligan 
(tradotto da Valeria Mirante)
 tratto da Shade the changing man: l'urlo americano



Tra le molte strade segnate da Alan Moore in Watchmen c'è quella di far esplodere le contraddizioni tra il sogno americano e la storia reale della sua affermazione. La british invasion degli anni 90 sotto l'etichetta Vertigo ha accolto entusiasticamente questa missione dissacrando tutto: Dio, la famiglia, la ricchezza, l'etica del lavoro e la libertà di pensiero. Kennedy è stato uno dei primi a pagare, Milligan con Shade nel 1990 ha scritto un paio di tavole che riportate così, anche senza i disegni di Bachalo, sembrano una magnifica poesia beat. Godetevela e, se non la conoscete, recuperate uno dei capisaldi più sottovalutati di quel meraviglioso periodo. Lion l'ha appena ripubblicata con la traduzione che vi riportato

mercoledì 3 luglio 2013

Batman, bruttezza e immotalità

Non è bello, non è particolarmente nuovo (troppo debitore di Batman Beyond), ma è indubitabilmente Batman.
 Z

L'ennesima incarnazione del cavaliere oscuro è questo cartone (ha senso chiamarlo ancora così?) in computer graphic della Cartoon network. Anche se la cosa mi fa sentire molto vecchio, devo ammettere che i ragazzini amano questa nuova forma di animazione. E' indubbiamente "povera" e ancora primitiva nelle sue capacità espressive. A distanza di anni capisco quello che gli adulti volevano dire in maniera grossolana quando negli anni 80 affermavano che i cartoni giapponesi erano "brutti perché fatti con il computer" (un'affermazione che comunque continua a scandalizzarmi). I nostri occhi di bambini ci trovavano tutto il necessario (e anche di più), immagino che per le attuali generazioni sia lo stesso.
I fan su Internet,di età media simile alla mia, hanno storto il naso.

E dire che l'animazione "classica" ha dato tanto al personaggio negli ultimi 15 anni, fino ai notevoli omaggi dei caposaldi del Bat world come Anno Uno e il Dark Knight return di Miller.
Il futuro è questo qui e per fortuna Batman sembra farne parte. D'altronde la potenza dell'icona è tale che persino progetti come il telefilm degli anni 60 con Adam West o le derive degli anni 70 del Bat Mite e simili hanno rafforzato il personaggio anziche affossarlo. Succederà anche con la Cg: i ragazzini di adesso s'innamoreranno di quei poligoni appuntiti così come molti di noi ricordano con nostaglia le rotondità di un Adam West tutt'altro che atletico.
Anche se nessuno è ancora riuscito a rivalutare i film di Joel Schumacher

martedì 25 giugno 2013

Un altro festival è possibile

Nel post precedente vagheggiavo di una "non fiera" del fumetto dove si parla e disegna tanto e si compra poco. Scopro che esiste già, ad Edinburgo, collegata alla fiera internazionale del libro che tengono in agosto.

Si chiama Stripped   e ha un programma di tutto rispetto grazie anche alle celebrità locali (nel senso di scozzesi purosangue) come Grant Morrison e Denise Mina a cui si aggiungono superstar come Gaiman, Sacco e Ware. Strano manchi il più scozzese di tutti Mark Millar.
Non male, non male davvero. Rimango convinto che anche in Italia si potrebbe fare qualcosa del genere e con risultati anche migliori

lunedì 10 giugno 2013

Un'idea dal festival delle idee

Grande vittoria fuori casa per il fumetto italiano. Tra risate, omaggi ai grandi maestri e sprazzi di saggezza di strada, il direttore di XL Luca Valtorta ha sapientemente messo dietro un microfono tre generazioni di autori: Gipi, Roberto Recchioni e Zerocalcare. Grande pubblico, direi trecento persone (anche se per la questura erano meno di cento ). Più del numero esatto, comunque consistente, conta il fatto che un gruppo così nutrito è rimasto per oltre un’ora ad ascoltare e a divertirsi con gli aneddoti dei tre in un’atmosfera molto rilassata e tutt’altro che banale. Se a piazza della Signoria si dibatteva di grandi temi, ma si faceva soprattutto vetrina, tra i nerd del fumetto è successo davvero quello che il festival si propone: scambiarsi delle idee.

Merito soprattutto degli autori. Gipi, il più vecchio dei tre (classe 65), ha accettato di buon grado il ruolo di “zio buffo”, ed ha allietato la platea con gli aneddoti dei suoi esordi di Graphic journalist per Cuore. Folla in tripudio al racconto di come a Scampia sia finito in balia di una banda di minidelinquenti e ci abbia lasciato un orecchio. In realtà tutti, soprattutto dietro il tavolo, sapevano che l’unico vero artista presente era lui e Recchioni e Zero lo hanno rimarcato con ammirazione sincera. Da lettore temevo che Gipi fosse perso, rapito definitivamente dalle sirene del cinema, per fortuna non è così: il ragazzo pensa e racconta (a volte parla persino) ancora a fumetti.

Roberto Recchioni partiva svantaggiato, il meno conosciuto dei tre, almeno per un pubblico di lettori casuali e non di geek da convention, ma era quello con più cose da dire e lo ha fatto con il suo solito piglio: opinioni nette, ruvide, spesso contestabili, ma sempre intelligenti. Mi ricorda il primo Sgarbi ;-P. Peraltro Recchioni, evidentemente reduce da mesi di riunioni in Bonelli, ha spesso preso il punto di vista dell’editore, ha parlato di modelli economici, di copie vendute, visibilità. Direi che gli piace un casino atteggiarsi da “portavoce della Bonelli” come dice lui,  anche se poi esprime delle opinioni parecchio eterodosse rispetto all’editore milanese. Non ha detto l’unica frase che mi premeva: “E’ vero ho ucciso John Doe, ma ero giovane, inesperto, avevo bisogno di soldi, mi si era allagata casa, avevounconflittoirrisoltoconmiopadreenonciavevoisoldiperlanalista, LE CAVALLETTE ! Stragiuro che non farò gli stessi errori con Dylan Dog”. Rimango in attesa

Zerocalcare ha passato un anno a sentirsi dire che è un fenomeno, o meglio “il” fenomeno, glielo urlano i dati delle vendite, i like su Facebook, e un numero spropositato di colleghi. Lui è ancora convinto che sia tutto un equivoco, anche a Firenze si guardava intorno come se da un momento all’altro l’incantesimo dovesse rompersi e di colpo qualcuno potesse alzarsi e dire: “Ma che ci fa quello sfigato da centro sociale con dei professionisti?”. Il fatto che per buoni 10 minuti abbia piovuto dal lato di Valtorta e ci fosse il sole dal suo ha sicuramente rafforzato la convinzione godere in un momento di innaturale grazia (che pagherà pesantemente). Sono sicuro che la vivrebbe come una liberazione, per ora godiamocelo e speriamo che un sano pragmatismo di periferia tenga lontani certi propositi come  “il voler usare tanta visibilità per argomenti più seri” come ha ammesso gli succede di pensare.

La formula ha funzionato , persone diversissime che popolano lo stesso mondo, che hanno qualcosa d’interessante da dire. Una sorta di jam session fumettistica in grado di reggere palcoscenici fuori dalle solite riserve indiane delle fiere del fumetto. Anzi mi è sembrato nei tre ci sia la voglia di uscire più spesso da quei recinti visto che tra cosplayer, videogiochi e bancarelle di noccioline, gli autori spariscono sempre più nelle mostre-mercato.

Sarà che sono di Repubblica ed ero a Repubblica delle Idee, ma mi è venuta un’idea. Una bella “non fiera” del fumetto. Ormai nell’ambiente ci sono abbastanza teste pensanti e gli ingredienti giusti. Editori/autori illuminati come Makkox o Igort. Artisti veri come Gipi, Fior e Frezzato. Nomi di portata internazionale come Camuncoli, Carnevale, Francavilla, Simone Bianchi. Star straniere che bazzicano volentieri in Italia (Bermejo, Jim Lee, David Lloyd). Mostri sacri da omaggiare come Giardino, Sclavi, Liberatore. Una tre giorni dove si vende poco e si chiacchiera e disegna tanto (cioè tipo Angouleme). Non deve essere per forza una serie di pallose tavole rotonde (e Firenze lo ha dimostrato). Io penso che mi divertirei a sentire un dibattito tra Lupoi e Recchioni sulle lotta per lo spazio in edicola e l’invasione dei fumetti stranieri in Italia. Igort che ricorda il gruppo Valvoline. Makkox (magari con un comico di professione) che parla della satira  al tempo di Facebook e così via....

Un sogno....
 

domenica 2 giugno 2013

Perfetto Golgo 13 e la lezione dei matusa italiani

E’ un esempio di alto artigianato Golgo 13. Il cofanetto con 13 storie pubblicato in Francia e da noi da Jpop apre uno squarcio su uno dei grandi misteri del mondo dei manga. In un mercato da migliaia di titoli che macina le mode e i personaggi con una bulimia senza uguali, Golgo 13 è muto, immobile e compie le sue gesta da 45 anni ininterrotti. Mi fa pensare al nostro Diabolik, simili per longevità e per, passatemi il neologismo, “iconicità”.

Tanto è immobile nel suo universo il nostro ladro, tanto è solido il killer professionista Duke Togo nella ripetitività delle sue storie. Con Diabolik condivide il periodo e l’humus culturale che a metà degli anni 60 rendeva tanto “cool” personaggi amorali, ma comunque eccezionali nelle loro specialità criminale e nella loro vita fuori dalle regole della società normale. Scarsa anche la caratterizzazione psicologica dei protagonisti che si raccontano poco, lasciando ai personaggi di contorno tutto il peso “emotivo” delle loro avventure. Alla fine tanta impenetrabilità diventa la chiave del fascino e della longevità di questi eroi maledetti. L’autore Takao Saito ha ammesso che nel corso degli episodi Duke ha parlato (e pensato) sempre meno, proprio che allungarsi la vita

Ho parlato di alto artigianato perché in Golgo le pretese artistiche devono convivere con precise necessità funzionali e commerciali. Inesistente continuity per mettere a proprio agio il lettore occasionale, zero sperimentazione su trame e svolgimento dell’azione. Disegni identici pur nello scorrere dei decenni. Saito “garantisce” un prodotto, ma non scrive e disegna sempre più raramente il manga, avendo messo su una bottega di tutto rispetto. Tanto che nell’intervista alla fine del terzo volumetto elenca, senza troppi pudori, una dozzina di canovacci. Cambiate ambientazioni geografiche e saccheggiati spunti da 40 anni di cinema noir e d’azione e il gioco è fatto, per circa 180 volumi. Perché Golgo nasce quando le storie su carta erano soprattutto un succedaneo dei film, intrattenimento a buon mercato sia per gli autori che per i lettori

Siete molto lontani dalla verità se pensate che tutto questo renda Golgo poco godibile, anzi le 13 storie scorrono via come acqua fresca in un giorno d’estate. Forse datate, a volte prevedibili con i 20-30 anni che sono passati dalla loro prima pubblicazione. Sono comunque perfette, in grado di ricreare le atmosfere dei film sui dirottamenti, le saghe spionistiche alla Fleming, persino qualche western o i film carcerari. Golgo letteralmente non sbaglia un colpo: è al tempo stesso straordinario e credibile.

Piccola notazione personale. L’episodio nel primo volumetto che simula un incidente nucleare, scritto prima di Chernobyl, è inappuntabile in ogni notazione tecnica, in ogni dialogo e in ogni misurazione e terminologia. Ho scritto due libri “divulgativi”  sull’argomento 30 anni dopo e non ho visto nessuna “licenza romanzesca” da parte dello sceneggiatore, né errore dovuto a conoscenze superate. Chapeau!!


Anche in Italia i fumetti si facevano così (forse appena meno accurati) e vendevano centinaia di migliaia di copie. Da noi a Tex rimane il titolo più venduto in edicola, l’esercito dei lettori si è ridotto e il peso culturale del fumetto è da sempre marginale, pur con qualche piacevole eccezione autoriale.
In Giappone, lo sapete, si è sperimentato tutto e il contrario di tutto producendo infinite nicchie, un mercato mainstream immenso e i fumetti sono un prodotto industriale-culturale che primeggia nelle statistiche delle esportazioni nipponiche nel mondo. Golgo a Tokyo è una curiosità, un “residuato” per nostalgici, da noi i matusa sono ancora lì a tirare la carretta. Ogni Paese ha i fumetti che si merita


mercoledì 6 marzo 2013

Boicottaggio riuscito

Chris Sprouse ha rinunciato a scrivere le storie di Superman scritte da Orson Scott Card. La motivazione ufficiale non ha niente a che fare con i contenuti o con le idee dello scrittore
Per Sprouse: "l'attenzione dei media è arrivata a punto tale da allontanarsi troppo dal vero lavoro e sono troppo a disagio con questa cosa"
Ho già scritto che boicottare Scott Card per le sue idee politiche sarebbe un caso di censura grave. Sprouse sembra essersi tirato fuori perché sicuro che il suo lavoro sarebbe stato criticato a prescindere. Ma potrebbe essere anche una soluzione di comodo concordata con la Dc. Ora parte la ricerca di un nuovo disegnatore e la collana (che sarà digital first da aprile)
debutterà con altri autori.

La mia previsione è che quelle Adventures of Superman non le vedremo mai, e non sarà una vittoria
 

lunedì 25 febbraio 2013

Batman ti fa diventare gay, Superman te li farà odiare

Tolleranza.  L'industria del fumetto americana è stata quasi totalmente distrutta dal pregiudizio, proprio in questi giorni abbiamo avuto una prova documentale che il dottor Wertham non era un bigotto in buona fede, ma un fanatico che diede legittimità scientifica al pregiudizio dell'epoca, tanto poca era fiducia nella sua scienza che non si fece scrupolo di manipolare i dati dei suoi esperimenti pur di confermare la tesi che i fumetti corrompevano i lettori più giovani.

L'esito lo conoscete, "La seduzione degli innocenti" e le sue pseudoverità è diventato il pretesto per creare un ghetto durato decenni. Ironicamente, ci sono stati anche effetti positivi: anni di banalità e di comics code hanno accresciuto la consapevolezza sulle potenzialità del mezzo di una generazione di autori cresciuta dagli anni 80 in poi. Al prezzo però, di una vera ecatombe di realtà editoriali e di decine di carriere rovinate tra scrittori, disegnatori e imprenditori del settore. Un shock che ha aumentato la maturità dell'industria, ma al prezzo di una guerra.

Ora che i fumetti sono tornati mainstream come poche altre volte nella loro storia, sembra che la società nel suo complesso non abbia fatto grandi progressi nella comprensione di come funzionano, anche se stavolta l'intolleranza stavolta si traveste da politically correct. Mi riferisco alle polemiche per l'assegnazione a Orson Scott Card delle sceneggiature dei prossimi numeri di una collana di Superman che uscirà in digitale a fine aprile

Card è un autore di fantascienza molto bravo, tra i più apprezzati in attività, ma è un omofobo è sfrutta la popolarità dei suoi romanzi per sostenere pubblicamente le tesi più assurde sul fatto che il matrimonio omosessuale sia una minaccia alla civiltà americana (se per questo non crede neanche al riscaldamento globale). Non è l'unico caso di valido romanziere con idee politiche superate o improponibili, solo per rimanere nella fantascienza e nel fantasy Henlein fu duramente criticato per le convinzioni militariste, Dick era un pazzo drogato e sovversivo convinto che esistesse un complotto marxista tra gli autori americani. Lo stesso China Mieville, nostalgico marxista, trent'anni fa negli Usa avrebbe potuto pubblicare ben poco.  Non dimentichiamo che tra i best seller del fantasy e della fantascienza ci sono veri e propri fondatori di sette come Hubbard o sostenitori di filosofie inconsuete come Goodkind

Un breve excursus che spiega perché chiedere alla Dc di rivedere le proprie azioni non ha giustificazioni se non quella di una strisciante intolleranza. Una richiesta che può basarsi solo su due motivazioni, entrambe sbagliate. La prima è che le opinioni personali e politiche di un artista possano in qualche modo discriminare il suo diritto a pubblicare/produrre le sue opere. Terreno scivolosissimo, dal momento che si deve prima definire ciò che è "oltraggioso, offensivo o appropriato". Mark Millar, per esempio, è di questa stessa opinione

Ma è la seconda motivazione che più mi preoccupa: Orson Scott Card sfrutterebbe la visibilità e l'eco planetaria di un'icona come Superman per far passare i suoi messaggi retrivi. Dando per scontato che la Dc eviterà di prestare il suo personaggio più conosciuto per fare della propaganda smaccata (se non altro per motivi economici), l'unica spiegazione di tanta agitazione è che quelle sceneggiature ottengano il risultato in maniera subdola, quasi subliminale.

 E così il cerchio si chiuderebbe: se negli anni 50 Batman ti insegnava a diventare gay (era un delle tesi forti della seduzione degli innocenti) oggi Superman ti insegnerà ad odiarli. Ma non ci eravamo già passati?

lunedì 18 febbraio 2013

L'avevamo detto

Per i pochi che avevano pensato male del finale di Asteryos Polyp (non io, evidentemente), il sito The Beat fa giustamente notare che gli ultimi eventi in Russa tagliano definitivamente la testa al toro.

Altro che facile via d'uscita o eccesso di relativismo, Mazzucchelli è di certo un saggio, forsanche un profeta ^__^

(p.s.) per i miei 25 lettori, sto tornando