martedì 18 dicembre 2012

Karen, la regina lascia senza eredi

Arrivo tardi (gioie della paternità), ma ho ancora qualcosa da dire sull'uscita di Karen Berger dopo vent'anni a capo della Vertigo
Questa serie di Tweet raccolta dal sito Comics Alliance racconta bene quante carriere sono state create e lanciate dalle scelte di Karen.  Che in molti sensi può essere considerata la Gertrude Stein del fumetto mondiale. Sono convinto che il suo vuoto non sarà colmato è probabilmente il periodo d'oro della Vertigo è finito per sempre. Non mi sorprenderebbe nemmeno che il  2013 fosse l'ultimo anno dell'etichetta Vertigo come entità editoriale separata dalla Dc.

Karen Berger dal sito Comicsalliance

E' stato fatto notare che al di là dei risultati di vendita ormai molto deludenti, il vero valore del marchio "adulto" era quello di allenare e creare talenti e squadre creative sceneggiatore-artista che poi si trasferivano nel mainstrean su titoli da 100 mila copie e più.  Vertigo ha long sellers di assoluto rispetto come Sandman o Fables, ha imbroccato/inaugurato  delle tendenze molto redditizie come i vampiri (I vampire e American Vampire), Preacher, o il noir rivisitato "stile" Azzarello. Ma agli occhi dei vertici di Dc è stato il Batman di Grant Morrison a ripagare l'investimento di Doom Patrol o Invisibles.

Insomma chiudere la Vertigo (o svuotarla) è come se il Barcellona chiudesse la sua famosa "cantera". Senza più le squadre giovanili, la prima squadra continuerà a vincere per qualche anno, ma il futuro sarebbe ricco di nuvole nere (Lemire, Snyder, Wood, Cook dove li prenderebbero?).

Da lettore mi preoccupano le conseguenze di tutto questo: i grandi talenti verrebbero fuori comunque, come ho già sottolineato i canali sono tanti, ma Berger e Vertigo hanno fatto un lavoro che spetta escluivamente agli editori (sia nel senso italiano che inglese): annusare l'aria sulle tendenze che piacciono (o meglio, "stanno per" piacere), selezionare i talenti, far sbocciare idee e capacità produttive in progetti concreti. Esempio: mandare Azzarello a sceneggiare Hellblazer è stata un'idea originale e ben riuscita, ma impossibile senza un redattore illuminato che la spingesse. Gaiman e Mckean si conoscevano, ma aggiungere un giovane Sam Keith al nascente Sandman ha aggiunto un altro mattone al capolavoro. Tutto questo potrebbe non succedere più.
Il trono di editore illuminato è vacante, molti indicano in Eric Stephenson della Image l'erede, ma deve ancora dimostrare tanto.

Update 19 dicembre   Dc ha annunciato il nuovo assetto dell'etichetta: sulla sedia di Karen si siederà la sua vice storica Shelly Bond così come storici sono gli altri editor Will Dennis e Mark Doile. Nessuna rivoluzione dunque anche se rimango pessimista, li aspetta un futuro in trincea a combattere contro un progressivo impoverimento di testate, uomini e mezzi

lunedì 22 ottobre 2012

Come invecchia male Blame!

Quando uscì nel '98, e ancor più quando arrivò l'edizione italiana due anni dopo, Blame! sembrò davvero qualcosa di veramente nuovo. Il suo autore Tsutomu Nihei era il più promettente tra la pattuglia di "nuovi talenti" che si sono affacciati alla ribalta all'inizio degli anni '90 (Obata, Oku, Taguchi per citare i più acclamati nel genere )

La forza di Blame! era quella di affrontare uno dei topos più forti del fumetto giapponese, la fantascienza, riprendendone i capisaldi tematici e mostrando di avere qualcosa di nuovo da dire. Per chi ha letto Akira, Gundam, Planetes, persino l'adoloscenziale Evangelion, prendere in mano Blame! significa riaprire antiche riflessioni: il rapporto macchina-corpo umano, la società che perde di senso per eccesso di evoluzione tecnologica, la domanda ultima su cosa sia "l'umanità" o l'anima nel momento in cui robot, connessioni reticolari e nanotecnologia rendono le distinzioni sempre più labili.



In più, e in questo c'è un ulteriore punto di contatto con Akira, l'aspirante architetto Nihei era un autore più globale, lo stile manga era molto mediato dall'influenze dello svizzero Giger e da una cinematografia americana di Cameron e Scott. I lavori per la Marvel sembravano incoronarlo il primo grande "disegnatore dei due mondi" in grado non solo di piacere su tutte e due le sponde del Pacifico, ma di essere padrone di uno stile esattamente a metà tra le due influenze

Dopo oltre dieci anni di carriera le potenzialità dell'autore sono rimaste nella mente dei critici e degli appassionati, lo stile di Nihei è diventato più semplice ma meno suggestivo. L'edizione di lusso di Blame, completata tra fine 2011 e inizio 2012, è l'occasione per una sorta di critica retrospettiva. E devo dire che le tavole ingrandite del nuovo formato e la rilettura puntuale delle avventure di Killy sono un'altra delusione. Blame è invecchiato male, le incertezze grafiche dell'autore, specie nel primo volume,  sono ancor più evidenti, appena compensate da tavole ancora di assoluto impatto. La trama non regge il confronto con i classici a cui era stato accostato al momento della pubblicazione.  Auguriamo a Nihei che il prossimo decennio sia quello della piena esplosione artistica.


domenica 16 settembre 2012

Quanto il cinefumetto deve al fumetto-fumetto

"The Avengers" e "Il cavaliere oscuro, il ritorno" sono stati l'assoluto successo cinematografico dell'estate americana sono piaciuti in tutto il mondo. Storie godibili, ricche di azione e con atmosfere ben definite, merito di registi affermati come Josh Whedon e Cristopher Nolan che, al di là del loro talento personale hanno sicuramente un approccio di rispetto e considerazione per il mezzo fumetto e per le sue potenzialità. Conoscevano bene l'incarnazione cartacea del materiale che stavano producendo.
Non sono condizioni né frequenti né necessarie, ad esempio il Batman di Tim Burton era una costruzione personale dell'artista lontano anni luce dal cavaliere oscuro originale e anche da quello che s'imponeva negli albi contemporanei ai due film con Michael Keaton. Erano i tempi di "Shadow of the bat" o delle "leggende del cavaliere oscuro" per intenderci. Burton ricostruì un suo "elseworld" di Batman al cinema e funzionò.



Quella formula, prendere un grande artista e chiedergli di reinterpretare un'icona dei supereroi, non fu replicata con successo, né per gli altri due Batman di Schumacher (dove l'ispirazione sembrava più la serie Tv, pilastro del "Camp"), né in altre trasposizioni, come l'Hulk di Ang Lee.
Ci volle Sam Raimi con L'uomo ragno per mostrare la strada: bisogna creare delle pellicole con lo stesso spirito delle serie da cui traggono i personaggi, meglio se ci si rifà a specifici "periodi d'oro" che sono rimasti nella memoria di più generazioni di spettatori.  Chi non ha seguito queste indicazioni (Daredevil e Fantastici quattro) ha creato delle opere inconsistenti che non sono piaciute né ai fan né agli spettatori occasionali
Whedon in Avengers ha fatto un ulteriore passo in avanti, da vero conoscitore dei meccanismi dei comics ha costruito un kolossal in perfetto stile Marvel, portando quell'universo al cinema e raccontandolo alla stessa maniera. Ci sono le trame esili, ma epiche, di Big M, la necessità di cercare la "coolness" a tutti i costi: meravigliando con colori ed esplosioni, titillando l'ego degli spettatori con battute e "inner jokes". Iron Man 1 e Capitan America mi sembrano i prodotti in questo senso meglio riusciti, ma anche X men First class ricalca operazioni del passato come 1985 di Millar o 1602 di Gaiman

 Non è una critica, per quanto da sempre più filo-Dc e scarsamente affascinato da certi risvolti da soap opera dei personaggi Marvel, non posso negare che si tratti di uno stile supereroistico ricco di veri capolavori del genere. Ad esempio The Ultimates di Millar e Hitch è chiaramente un progenitore stretto della versione cinematografica di The Avengers e il risultato finale ne ha risentito positivamente. Nolan si è fermato a metà: il suo Batman Begins era fedele all'Anno Uno di Mazzucchelli e Miller, ma nessuno se ne accorto. The Dark Knight è bellissimo, ma "le licenze poetiche" sono decisamente troppe agli occhi di un lettore hard core. L'ultimo è una via di mezzo: Bane è una costruzione del tutto originale e secondo me ben riuscita. Mi piacerebbe leggere una miniserie (Loeb o Azzarello potrebbero scriverla) che approfondisse un villain che ha un aspetto mostruoso, ma un cervello in grado di battersi alla pari con quella del Detective.


Ma Nola ha anche rubato parecchi spunti validi emersi nel Bat-verse e selezionati negli anni dal gusto dei fan e dalla vena degli artisti. La Gotham isolata dal resto del mondo con i criminali che se la spartiscono in zone è una meravigliosa rievocazione di No man's land. L'orgoglio delle divise blu del Gcpd è nato in Gotham Central dalle menti di Rucka e Brubacker (dov'era Montoya?). E infine la pazzia tutta al femminile di Talia al Ghul è quella letta diverse volte in Batman & son, ma soprattutto in Death and the maidens (peraltro anche l'alleanza tra Bane e la famiglia Al Ghul è una sottotrama del ciclo Knightfall). Insomma Nolan ha fatto un'operazione molto simile a quella di Grant Morrison per il suo Rip. Trattando le centinaia di avventure del cavaliere oscuro come fossero una "biografia" reale e traendo delle conseguenze coerenti sul mondo, sulla psiche di Bruce Wayne e sulle persone che lo circondano. D'altronde la fine di quella Graphic novel e del film sono identiche.

Commento finale: trovo molto piacevoli questi film "leggibili" a più livelli e che danno agli amanti dei personaggi e ai comic geek elementi extra d'intrattenimento, nello svolgersi della trama o in scene "dedicate" come quella in cui Catwoman sparisce mentre Batman le parla e lui dice "allora è questo l'effetto che fa".
Lo definirei Fan service, se il termine non fosse usato per qualcosa di meno presentabile.

Ps. Segnalo che nel 2012, dopo anni in cui parlare di graphic novel "fa figo" come poche altre cose, qualche critico cinematografico non ha letto The return of the Dark Knight di Frank Miller e crede di farla franca. Boris Sollazzo scrive sul Sole 24ORE che
Nolan si avvicina molto all'originale del fumetto solo all'inizio, modella il suo cinema su quell'epica e oscura minisaga disegnata per essere un caposaldo di Batman e di tutte le nuvole parlanti, la graphic novel "Il ritorno del cavaliere oscuro" scritta e "dipinta" dal genio di Frank Miller
Sì.... certo.....sicuro.....

giovedì 23 agosto 2012

Sergio Toppi

Qualche mese fa Giancarlo Berardi nella posta di Julia definiva "orribile" il 2011 per la scomparsa di mostri sacri del fumetto e suoi amici come Sergio Bonelli e Enio.
Direi che il 2012 non si sta rivelando da meno: Sergio Toppi ci ha lasciato un altro immenso vuoto dopo quello di Moebius di qualche mese fa. 
Tra l'altro, visto che i sogni di entrambi sembravano pescare da mondi molti vicini tra loro, mi piace immaginarli sorvolare distese meravigliose, come quelle che per anni ci hanno regalato sulle loro tavole.
Li vedo fermarsi a osservare creature misteriose e affascinanti. Non servivano saghe, personaggi e persino la schiavitù delle storie era qualcosa di marginale quando c'era da guardare un disegno di Toppi. Non solo ti lasciavano a bocca aperta, ma anche un'inquieta consapevolezza: quelle erano cartoline di una dimensione molto più complessa, dotata di una malìa che avrebbe potuto risucchiarti.

 La morte potrebbe essere solo il passo definitivo per attraversare quello specchio che l'arte (specialmente quella a fumetti) riesce a farci sbirciare dalla nostra realtà limitata. Non più solo interpreti/traduttori, ma parte integrante del mistero.


Buon viaggio Sergio e grazie

sabato 28 luglio 2012

Holmes uno di noi?

Non è colpa di Batman, ma è anche un nostro problema.
Cercavo nei giorni scorsi un fumetto che raccontasse perché James Holmes ha davvero a che fare con tutti noi comic-geek, e con il ruolo che l’onnipresente cultura-pop ha ormai nella società. Il pericolo di una crociata sembra scongiurato, il riflesso automatico di cercare il capro espiatorio nella violenza di cinema/tv/ fumetti/videogiochi è stato minimo. Gli Stati Uniti sembrano aver fatto finalmente dei passi avanti dai tempi del dottor Wertham e il resto del mondo si adeguato, a parte qualche doloroso scivolone (Angelo quoque tu)



Holmes ha scelto il film di Batman per far esplodere il peggio della sua pazzia, si è definito il Joker, ma come altri psicopatici prima di lui avrebbe potuto scegliere un libro, l’avvento del multiculturalismo, la congiura del grande capitale. L’uso di motivazioni particolarmente insensate ha almeno il vantaggio di risparmiarci il teatrino inevitabile delle strumentalizzazioni. Quando i pazzi psicopatici si nascondono dietro rivendicazioni religiose o etniche c'è sempre qualcuno che considera i loro pensieri degni di approfondimento. Dopo vicende come quella di Denver si discute giustamente su come rendere innocui questi squilibrati, in Europa c’è ancora di tenta di dare dignità politica e sociale alle farneticazioni di Brevnik

Detto che i fumetti non c’entrano e nemmeno la retorica dei supereroi, una leggera inquietudine rimane. Trent’anni fa Mark David Chapman lesse sul giovane Holden l’ordine di uccidere John Lennon ( o qualcosa del genere). Oggi è l’immaginario fantastico che nasce dai fumetti e dalla letteratura di genere la principale fonte d’intrattenimento e evasione per la popolazione mondiale, e quindi anche del materiale per le fantasie malate. Questa realtà dà ad autori, disegnatori e appassionati qualche responsabilità? Per me la risposta e sì.
La riflessione me l’ha suggerita Kick Ass 2 di Mark Millar e John Romita Jr.
Non voglio prevaricare le intenzioni dell’autore leggendoci troppo, ma io ho visto una critica fortissima ad un mondo, quello degli appassionati di fumetti, che si guarda troppo l'ombelico. Per chi ha letto la prima miniserie, o anche solo visto il film, la storia è paradigmatica: Dave Lizewski, classico adolescente sfigato, decide di risolvere i suoi problemi mettendosi un costume e combattendo l’ingiustizia. Dopo molto dolore e qualche colpo di fortuna diventa davvero un eroe. Insomma geek pride al suo massimo appena nascosto da massicce dosi di autoironia e da scene d’azione grottesche.

Al secondo giro Millar alza la posta. La domanda è sempre la stessa: “Cosa succederebbe se nel mondo reale qualcuno decidesse di mettersi una calzamaglia e fronteggiare il crimine?” Il buonsenso dice che finirebbero per farsi ammazzare o far ammazzare qualche innocente. Ed è esattamente quello che succede nel fumetto. Niente più esaltazione bonaria dell’incoscienza dei Dave Lizewski, nessun rispetto per una delle leggi inviolabili nel mondo della fiction (specie nel cinema americano): chi crede nei propri sogni riesce in tutto.
Non solo Romita ci mostra come la mancanza di senso della realtà di un gruppo di vigilantes improvvisati (di tutte le età) li porta a esperienze spiacevoli e perfino alla morte, ma Millar sottolinea, al momento dello scontro finale, i grandi ideali della giustizia e dell’altruismo sono solo pretesti rispetto alle vere motivazioni che portano i protagonisti a mascherarsi.....



E all'improvviso era finita. All'improvviso era tutto troppo reale e io non ero il Punitore o Batman o qualche tizio in un film d'azione. Ero io in un bagno di sudore che guardavo un ragazzino che avevo appena spinto giù da un palazzo
Le riflessioni di Dave, il fatto che una rissa da cortile tra due adolescenti si trasforma in una carneficina al centro di New York è la metafora perfetta di come certi temi sulla marginalità dei geek diventati facili chiavi di accesso per il cuore degli appassionati ora godano di una visibilità del tutto esagerata rispetto al loro peso specifico nelle miserie del mondo.
La rivincita dei Nerd è ormai totale è completa, basta vedere la copertura mediatica (e non solo di settore) dell’ultima Comic con di San Diego. Le franchise del fantastico sono le uniche in grado di creare miliardi di dollari di “revenues” praticamente dal nulla. Ci daranno tutta l’evasione che chiediamo (e anche di più). Sta a noi non esagerare: “i paramondi”  che tanto amiamo possono insegnarci molto su noi stessi, sugli altri e su tutto quello che ci circonda, ma non saranno mai un succedaneo della realtà.
Considerazione ovvia? Lo pensavo, ma dopo anni in cui essere un geek è diventato “uno stile di vita” tanto che gli Sheldon e gli Abed sono personaggi idolatrati, vorrei che ci fossero più opere e autori a ribadirlo. A forza di passare ore ad evadere nei nostri imaginatorium forse non diventeremo tutti degli Holmes, ma quello che succede là fuori potrebbe interessarci sempre meno.

Visto che sono stato un po peso, vi regalo una facezia "in tema". Succede anche da noi:
Grida "sono Batman" e si butta dal secondo piano di una palazzina di Lampedusa, uscendo preossocchè indenne, come il vero supereroe, da un volo di almeno 6 metri. A differenza di Batman, però, dovrà subire un trattamento sanitario obbligatorio nell'ospedale di Agrigento.
Protagonista un uomo di 32 anni originario della provincia di Brescia, nell'isola come volontario del centro di recupero delle tartarughe marine del Wwf

mercoledì 27 giugno 2012

Harry Potter e la maledizione Vertigo

Antefatto

Alla fine degli anni '80 un gruppo di autori britannici sconvolse completamente il mondo dei comics. Epicentro di questo terremoto la revisione di Swamp Thing realizzata da Alan Moore. Da quelle pagine nacque un altro personaggio, John Constantine, destinato a diventare a sua volta il perno e il volto più conosciuto del nascente "universo Vertigo", che nei vent'anni successivi diventerà marchio di fabbrica del miglior "fumetto adulto" occidentale. Le vicende del mago inglese innamorato della birra e delle Silk cut sono state  raccontate da tutti i più grandi: Warren Ellis, Garth Ennis, Jamie Delano, per limitarsi agli autori del Regno Unito che poi hanno dato il meglio altrove, ma che hanno costruito il loro stile  tagliente grazie alla cattiveria "obbligatoria" sulle pagine di Hellbalzer

Da Hellblazer 63: Ennis-Dillon fanno materializzaere Swampy da un broccolo



Due maghi di troppo
Ma costruire il pantheon dell'universo vertigo è stato Neil Gaiman. Morfeo/sandman e' il vero centro di gravità intorno al quale la Dc ha costruito l'identita della sua casa editrice di "qualità".  I disfunzionali eterni fratelli di Sandman sono gli dei di quel mondo. La miniserie di Death è stato il primo albo nato con il marchio Vertigo. La reinterpretazione di Lucifero di Gaiman e' diventata una serie a  nelle mani Mike Carey. Mentre l'editor Karen Berger lavorava per dare una certa coerenza alle varie testate, gli sceneggiatori si sfidavano cercando di imporre la propria visione su tutto: personaggi, funzionamento dei superpoteri e della magia, le minacce della società, l'importanza di dio e della fede. Una bella tensione creativa che porto' alla nascita di Timothy Hunter, un introverso dodicenne inglese destinato ad essere il piu' potente mago d mondo. La somiglianza fisica (occhiali e cicatrici) la storia familiare (genitori assenti e padre biologico scoperti in seguito) hanno sollevato più di un dubbio sull'orginalita della creazione della Rawlings. Tra l'altro, la miniserie originale di Books of magic è uno dei rari casi in cui Gaiman utilizza John Constantine. Un incontro inconsueto e una pietra miliare del fumetto americano

 Fair play
 Gaiman ha spiegato ufficialmente ormai diversi anni fa di non sentirsi plagiato dal lavoro della Rowlings anche se i fan la pensano diversamente. Il primo libro della Pottersaga è datato 1997, quello di Hunter 1990 e nel 1997 la serie già volgeva verso una conclusione non all'altezza delle premesse. Gaiman sottolinea come la somiglianza fisica dei due protagonisti, e persino il comune destino sono solo elementi superficiali, idee di partenza (e neanche troppo originali visto che secondo lui entrambi hanno copiato dal ciclo arturiano di TH White). Agli occhi di un autore come Gaiman conta molto di più il fatto che le due idee siano state  sviluppate in un modo opposto. La magia di Hunter è dolore e sacrificio, patti con il diavolo e conoscenza della parte nera della propria anima. In Potter è qualcosa di più simile all'energia elettrica, facilita la vita dei maghi, un potere sfruttato in maniera così  poco "fantastica" da aver ricreato un mondo del tutto identico ai babbani con tanto di ministero, classi sociali, sport di massa. In Books of magic ci sono universi paralleli, versioni alterate dei protagonisti, le percezioni che diventano leggi fisiche.


Retrospettive
Però, qualcosa che è rimasto in sospeso, Mike Carey è tornato sul luogo del delitto con Unwritten, in cui protagonista è apertamente un clone di Harry potter, Tommy Tailor, oggetto di culto da parte di milioni di fan che, come nella realtà, si crogiolano nell'illusione e nel desiderio che il mondo di fantasia possa essere reale. Ne fa le spese Tom Tailor persona reale e figlio dello scomparso autore della saga sul maghetto che invece è lo sfondo di Unwritten. Carey ha ben altro in mente che non "regolare i conti" con la Rawlings attraverso una parodia. La Pottermania è una metafora accessibile e facilmente comprensibile per il vero obiettivo del fumetto. Unwritten (il cui numero 5, con protagonista Rudyard Kipling, è una delle migliori storie singole del decennio) vuole rispondere ad una domanda colossale: A cosa servono le storie inventate? Perchè gli esseri umani hanno così bisogno di crearle, ascoltarle e soprattutto crederci?
Non ci crederete, ma Potter è in questa copertina

La vendetta del mago 
 Gaiman e Carey hanno dimostrato che loro giocano in una categoria diversa. L'autrice scozzese ha creato un bella storia di avventura in cui il fantastico è solo uno strumento del mestiere, un abbellimento per tenere alta l'attenzione. Quello che a lei non interessa è invece l'ossessione creativa degli uomini vertigo: un fantastico originale, ambizioso, coerente che dica qualcosa sulle quella qualità tutta umana che è la necessità di "creare" o "subcreare" questa ed altre realtà. Troppo intelletualoide? A chiudere il cerchio con poca grazia e tanta forza ci ha pensato chi mago lo è davvero, Alan Moore. Maledetta la Vertigo e tutta la DC per aver rubato i suoi personaggi, continua a rubare quelli degli altri (di solito migliorandoli) nel suo League of Extraordinary Gentlemen. L'ultimo ambientato nel 2009 si occupa anche di Harold Potter, di Hogwarts e di tutto il resto (con sommo sprezzo del pericolo chiamato Copyright). Troppo facile ribaltare l'eroe beniamino di tutti in un cattivissimo anticristo, ma per Moore è la giusta pena per il crimine più grande del nostro maghetto: essere banale.

lunedì 11 giugno 2012

Una nuova golden age

Il sito comichron,  bibbia delle statistica di vendita dei fumetti americani, ha sancito che maggio è stato il miglior mese del "secolo" con vendite vicine ai 45 milioni di dollari. Per arrivare a record simili bisogna tornare al 1993 (tutto al lordo dell'inflazione). E' sotto tutti i punti di vista un risultato straordinario, considerando che nello stesso periodo le fumetterie in America si sono ridotte di quasi il 70%.

I comics tornano mainstream, grazie ai successi delle trasposizioni televisive e cinematografiche delle idee più popolari. Le classifiche di maggio parlano chiaro con gli Avengers e The walking dead a dominare i comic book e i paperback. C'è speranza che con l'uscita del terzo Batman di Nolan in estate e l'apporto dei reboot Dc il 2012 diventi il miglior anno per l'industria dagli anni 80

Il fatto che si vendano più fumetti (e a prezzi più a alti) non sempre è visto dagli appassionati come un fatto positivo: qualità media più bassa, aumento dei "progetti fotocopia" o guidati dal merchandising, l'arrivo della speculazione attraverso le variant cover e le tirature limitate. Ho sempre trovato queste affermazioni veramente idiote, sbagliate dal punto di vista economico e soprattutto incoerenti se pronunciate da chi afferma di amare questa forma d'arte.

Il boom precedente, quello del 92-93, fu alimentato dalla nascita della Image e dall'evento della "Morte di Superman". Sento tuttora critiche alla Image, colpevole di aver alimentato la parte più "superficiale" della produzione supereroistica. Dopo vent'anni è ancora lì a finanziare i miglior progetti indipendenti su piazza (Walking dead, ma anche Saga e Manhattan project)

La verità è che più soldi girano nell'industria e più gente ha speranza di lavorare nel settore e, meglio ancora, realizzare i propri progetti. Da questo punto di vista questa è davvero l'età dell'oro: tante case editrici e non il duopolio di Marvel-Dc che spesso ha imbrigliato i grandi talenti del passato. Figure di Autori-imprenditori che dotatissimi sul fronte creativo hanno anche il fiuto e il coraggio di lanciarsi in  iniziative nuove e muovere idee e capitali (Jim Lee, Mark Millar, Todd Mcfarlane).

Un disegnatore mediamente affermato al giorno d'oggi può lavorare contemporaneamente per una grande casa, far uscire un personaggio di sua proprietà per Boom o Dynamite e cercarsi nuovi progetti verso i concorrenti. Un esordiente può farsi le ossa sulle tante testate da 5-10000 copie al mese o lanciare una raccolta fondi su Kickstarter per un progetto tanto innovativo da spaventare tutti gli altri editori.

Dall'altra parte, e questa è una vera novità, c'è un pubblico potenzialmente più grande se i geeks che si recano ogni settimana in fumetteria sono sempre gli stessi ( e sempre più vecchi), il grande pubblico dai 15ai 50 anni ha perso gran parte dei pregiudizi sul fatto che i comics possano avere qualcosa di veramente interessante, originale e divertente da mostrare, basta trovarsi il proprio pubblico.
Pare proprio che stiamo vincendo la guerra.

giovedì 24 maggio 2012

Diversi per forza

North Star si sposa con il suo compagno nel numero 51 di Astonishing X-men. Matrimonio gay nel mondo Marvel e diluvio di titoli sui media tradizionali. La DC risponde annunciando che entro giugno uno dei personaggi "principali" farà outing (il principale sospetto è Aquaman, io dico Plastic man).
La risposta degli appassionati è stata unanimente negativa: solo marketing. Strategia scoperta: subito arriva parecchia pubblicità gratuita, si fa scorta di "buona stampa" e nel migliore dei casi si allarga il mercato verso target sconosciuti.


E' un po' più complicato di così, il mondo dei supereroi ha la coscienza sporca: nato negli anni 40 si è trascinato un sistema di valori e pregiudizi alla lunga diventato anacronistico e retrivo. La foglia di fico del comics code o anche l'imperativo di non traumatizzare i ragazzi è superato da almeno 15 anni. Certe consuetudini sono state duramente svillaneggiate anche dall'interno come nel meraviglioso The Boys di Ennis e Robertson. La mancanza di coraggio di molti autori è evidente, anche le operazioni nostalgia/rivisitazione (tipo Astrocity) si fermano a riproporre quel mondo rassicurante e ingenuo come se la "monocromia" sessuale e razziale fosse un elemento di forza e non di debolezza della Golden Age. Fossanche una riparazione tardiva e calcolata, ben venga.



I tentativi di far irrompere la realtà tra gli uomini in calzamaglia (la droga, il porno, l'immigrazione) sono stati goffi, estemporanei e in generale poco efficaci, specie quando hanno coinvolto icone come Batman, Superman o l'Uomo ragno.
Spesso ha vinto l'ipocrisia del politically correct. Se ne prendeva gioco Kevin Smith nel film Chasing Amy con il personaggio Hooper X, autore nero e alternativo che predicava l'oppressione bianca tra i supereroi, ma per non perdere tutti i suoi piccoli fan afroamericani, doveva nascondere di essere esponente di un'altra minoranza poco rappresentata sulle pagine dei comics, quella degli omossessuali. 
Il ritornello è consolidato, le accuse "all'industria" di non dare abbastanza spazio a  donne, Lgbt, minoranze etniche, religioni non occidentali, idee alternative a quelle dei superoi sono al tempo stesso vere e inutili.
Vere perché si limitano a ribadire dati di fatto, inutili perché, per qualche miracolo, le varie generazioni di sceneggiatori e disegnatori sono riusciti a far evolvere anche il genere supereroistico verso il ventunesimo secolo. Storie belle e originali non mancano e i loro protagonisti non sono tutti bianchi occidentali, dalla sessualità sottotraccia (ma sicuramente normale) e difendono a tutti costi la volontà del governo e il benessere delle famiglie tradizionali. Warren Ellis e Mark Millar ci hanno regalato Apollo e Midnighter, Rucka e Jason Williams hanno dato a Kate Kane, alias Batwoman, un'omosessualità netta, consapevole e adulta, molto più normale e "trasparente" delle tante ambiguità di Batman e Robin che tanto piacciono a Grant Morrison. E questo per rimanere all'interno della questione dei personaggi omosessuali tra i supereroi.



Tra i comics in generale posso non citare il mio fumetto preferito in assoluto e oggetto di vero e proprio culto: Strangers in Paradise, una storia d'amore "perfetta", dove il fatto che le protagoniste siano due donne è al tempo stesso importante e marginale.
Insomma per ognuna delle tante "minoranze" bistrattate nel mondo delle graphic novel, posso elencare eccezioni importanti e di qualità. Sei mesi fa si parlava di più dei personaggi femminili stereotipati e della mercificazione dei loro corpi. Tornerà anche questa polemica. Alla fine a tutti  risponde bene Greg Rucka

Writers don't write Men or Women or Dogs or Salmon. Writers write characters, and at our best, if we do it well and with care and with thought, we invest in those characters a spark of life, a realism and nuance that makes them believable and relatable.

Ancor più clamorosamente, i lettori sono andati oltre i non detti e le incertezze ed è nata una comunità di appassionati che fa dell'amore per i fumetti uno strumento per arricchire la propria identità  (anche sessuale). Non esiste nessuna barriera di genere, orientamento, età, religione per amare quest'arte o per diventare protagonisti di una storia disegnata. è la lezione più consolatoria di tutta la vicenda, la forza del mezzo è superiore a tutte le contorsioni politiche, le ipocrisie sociali e i calcoli economici. Meno consolante, invece come fa notare comics alliance, la sfiducia della Marvel nei confronti del matrimoni di ogni tipo.
In questa variant di Phil Noto per il 51 di Astonishing  X-men sono riportate famose coppie del momìndo Marvel, e nessuna di queste è rimasta sposata a lungo.


martedì 22 maggio 2012

L'età giusta per i manga. Fratelli nello spazio

L'idea era di scrivere un post per segnalare il bel manga Uchu Kyodai, tradotto in Italia da Star comics con il titolo "Fratelli nello spazio" (qui un'anteprima sfogliabile). Ma ho subito capito che era il caso di alzare il tiro, perché l'autore  Chuya Koyama mi ha regalato un'epifania tutta personale. Leggo manga da oltre vent'anni, sono uno di quelli che, macinando pagine con ritmi da vero otaku, ha permesso l'affermarsi della  "cultura dei cartoni giapponesi" in questo paese. Ho visto nascere tutte le realtà del settore: Granata press, Star comics (specie durante il regno dei Kappa boys), Dynamic e poi quelli della Planet manga. Mi ricordo alle fiere una minoranza agguerrita e rumorosa capace di togliere parecchia polvere a eventi che erano per lo più incontro per antiquari, giocatori di ruolo e collezionisti attempati.


Guardo alle migliaia di cosplayer di oggi con la bonarietà di un fratello maggiore, ammiro il loro entusiasmo, ma ormai da anni mi rendo conto di essere fuori target rispetto alle decine di titoli che escono, confondo le case editrici che si sono aggiunte (Jpop, Goen....).  Cosa ancor più grave, ci sono serie che ormai leggo per pura inerzia (Guyver, One piece, Oh mia dea). La domanda scomoda che molti lettori ultratrentenni come me si saranno posti è se ha ancora senso continuare. "Quanti demoni da esorcizzare, quante storie di redenzione scolastica o di affermazione sportiva; quanti goffi e contorti percorsi verso il vero amore (è sempre lì, in bella vista), quanti liceali in divisa chiamati a salvare questo o altri mondi posso ancora sopportare?"

Ovvio che i manga non siano solo questo. Ci sono storie adulte come Homunculus o Monster,  ci sono autori senza età e senza confini (Tezuka e Taniguchi tanto per citare i pesi massimi). Questi gioielli non usciranno mai dalla mia sostanziosa dieta fumettisca. ma perdere il piacere delle storie più mainstream mi terrorizza (chiamiamola pure "paura d'invecchiare":-)).
Uchu Kyodai è sicuramente una storia sopra le media per complessità, adatto a gusti ormai "seinen", ma mi ha definitivamente ricordato che oltre una capacità d'intrattenimento e storytelling senza pari, la sensibilità degli autori giapponesi è in grado è imbattibile nel raccontare la passione nelle sue forme più varie.

Nell'ovvia approssimazione necessaria per definire un contributo unico di un genere. Ho la presunzione di dire che gli americani hanno ridefinito l'epica dell'eroe, smontandola e rimontandola mille volte, gli italiani, con l'epopea dei bonelliani, hanno ottenuto risultati simili, ma ancorandosi agli schemi classici del romanzo d'avventura. I francesi sono imbattibili nel ricostruire i contesti, sono maestri delle ambientazioni e riescono al meglio quando le usano come strumento di riflessione sulle vicende dell'umanità. I manga, specie quelli pensati per le giovani menti, sono unici quando si tratta di spiegare cosa porta ognuno di noi a dare un senso alla vita. Che sia un altro essere umano, un arte, un talento, uno sport, un'idea astratta o anche solo un luogo, i giapponesi hanno insegnato al mondo cosa significa abnegazione, "vocazione", amore incondizionato. Senza paura ne hanno esplorato il lato oscuro: l'ossessione, la perversione (cioè quando tutto si riduce alla distruzione di sé e dell'oggetto del proprio desiderio). Oppure quando si deve ammettere il proprio fallimento e, ancor più drammatico, la terribile condanna di non avere più uno scopo.

Fratelli nello spazio in realtà ha un tono e un'atmosfera tutto sommato leggera, ma mescola due elementi "storici" del fumetto giapponese: la crescita dei personaggi e l'amore per la scienza. Due fratelli che sognavano da piccoli di raggiungere le stelle, diventano astronauti. Tra flashback, mentori improbabili e grandi momenti d'illuminazione, Mutta e Hibito trovano la loro strada, scoprendo quanto la realtà sia diversa dai sogni, costruendo la loro vita da adulti. Il raggiungimento del traguardo significa sacrifici, non solo in termini d'impegno e fatica, ma anche rinunce alla quotidianità: la famiglia, gli amici, l'amore.
Le side-stories dei personaggi secondari sono un altro punto di forza del titolo.
Insomma mi ha conquistato proprio per la capacità di riportarmi a temi familiari sulla realizzazione personale che tanto ho amato in gioventù  adattandoli ad una sensibilità ormai adulta e fin troppo disincantata. Una sceneggiatura robusta che gli è valsa la trasposizione in anime, in arrivo quest'anno in Giappone, e anche un film dal vivo il cui risultato è, come spesso accade in questi casi, divinamente trash.

martedì 8 maggio 2012

Mazzucchelli nella sua scintillante armatura

David Mazzucchelli è il campione degli amanti del fumetto, nel senso più letterale del termine. Un artista impostosi nel mainstream (Daredevil e Batman anno uno) che ha poi scelto di portare la sua arte e la nostra passione verso lande sconosciute, sperimentando quello che il mezzo e il suo talento personale poteva dare di nuovo. Introduzione pomposa per dire che ho letto (2 volte) in 48 ore Asterios Polyp, (da noi edito da Coconino press). Un'opera che ha avuto una gestazione di circa 10 anni e nonostante questo appare clamorosamente innovativa.

Racconta una storia abbastanza lineare: un professore universitario snob e misantropo viene "benedetto" dall'incendio del suo appartamento che lo costringe a ricostruirsi e capire cosa davvero è importante nella vita. Una storia molto "anni 90", sul senso delle piccole e grandi cose che ricorda un po' quel capolavoro televisivo di Northern exposure (da noi Un medico tra gli orsi). Si parla di auto, famiglia, soprannaturale, amore, Dio e dell'indifferenza dell'universo nei nostri confronti.
La risposta è relativista, ma senza disperazione. Il finale è semplicemente perfetto, una "trovata" in grado di far esplodere un impulso che ti accompagna per tutta la lettura: spiegare, approfondire, dire la tua opinione.
Insomma un libro che sarebbe piaciuto al "giovane" Holden Caulfield: "Uno di quelli che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira"

Ma la vera originalità sta nel linguaggio. Asterios è un grande fumetto senza rientrare nelle due grandi categorie con cui si etichettano i capolavori. I più intellettuali dicono che i fumetti al loro meglio sono "letteratura disegnata", un po' fuori moda è l'espressione di "cinema su carta", mai appartenuta all'estetica anglosassone e molto più, seppur in modi diversi, ai manga e ai fumetti popolari italiano e argentino. La narrazione di Mazzucchelli è "stereo" con le immagini e le parole che viaggiano in parallelo. Le dissonanze servono proprio a esaltare alcuni concetti. Un uso più moderno del vecchio parallelismo didascalie-immagini della golden age in cui la didascalia spiegava, con dovizia di aggettivi, la scena sottostante. Agli occhi di noi lettori del 21 secolo quel meccanismo è melodrammatico e ridondante, ma nella versione Mazzucchelli rende ottimamente la distanza tra la percezione del personaggio e la realtà o tra le sue parole e i suoi pensieri. Altri elementi nuovi sono l'uso di simboli matematici, frecce, lettere di alfabeti e pittogrammi come codice comunicativo ibrido tra i disegni e le parole. L'uso della tavola è a dir poco libero, senza griglie prefissate e uso diffuso degli spazi vuoti. Scelta perfetta per quello che un lungo e ineguale flusso di coscienza che cattura il lettore

Al quarto paragrafo devo precisare che Asterios è una lettura scorrevole, dove gli eventi si rincorrono con armonia e leggerezza. Bello in senso pieno anche per chi non coglie tutti gli aspetti metafumettistici.
E' l'opera ideale da prestare a qualcuno che non è interessato ai fumetti per dimostrargli quanto sanno essere intelligenti e intriganti. E soprattutto inimitabili, l'esatto contrario di quel "parente povero" di film e romanzi che la maggioranza delle persone crede.
Sono convinto che Mazzucchelli (con Spiegelmann e pochi altri) sia uno dei pochi autori in grado di "farci fare bella figura" ovunque. Come suggerisce il titolo del post, è un'ambasciatore ideale. Anzi meglio: è l'ideale campione da lanciare in qualsiasi disfida culturale.  Anche se l'antica questione su quali siano i modi giusti di allargare la cerchia degli estimatori, ritornello di mille dibattiti in rete e nelle fiere, mi appassiona molto meno di un tempo, per molti versi lo considero superato.

martedì 24 aprile 2012

Directly from New York...Dc comics

I redattori di Buzzfeed hanno avuto la fortuna di passare del tempo nel quartier generale della Dc comics a Manhattan. Hanno postato le foto di quello che è senza dubbio il più bel posto dove lavorare al mondo. Due considerazioni personali: l'ufficio di Dan Didio è molto simile ad una stanza di casa mia  (il che mi consola un po', è la prova che ho raggiunto qualche risultato nella vita). Poi, come molti turisti mi sono fatto fotografare sotto l'insegna dell'Ed Sullivan's Theather, che è dove registrano il David Letterman Show, ma scopro solo ora che il vero palazzo da fotografare era quello di fronte.

Sempre sullo stesso sito c'è una fantastica galleria di tavole sui nascenti albi di Before Watchmen. Guardando le notevoli differenze degli stili mi sto facendo l'idea che ogni coppia di artisti è andata davvero per conto proprio e che quindi il livello qualitativo delle varie miniserie sarà molto diverso. Comunque già ora spicca su tutti Bermejo


sabato 21 aprile 2012

Francavilla e la gioia di disegnare

Francesco Francavilla è in questo momento il disegnatore italiano più "caldo" nel panorama dei comics americani. Molto apprezzato per le storie su detective comics di un anno fa, ha disegnato Zorro per la Dynamite e Capitan America per la Marvel.
Ad aprile debutterà anche come sceneggiatore e creatore con Black Beetle per la Dark Horse.
Un'ulteriore successo che gli permetterà di imporsi sempre più come artista a 360 gradi visto che già ora è uno dei pochi che disegna e colora al computer le sue tavole. Nonostante questo 
Le enormi quantità di lodi che riceve per i suoi lavori "professionali" sono sempre affiancate dall'ammirazione per la sua prolificità.
Francavilla semplicemente ama disegnare come dimostra il suo sito o altri posti in cui lascia fantastici contributi. Semplicemente per il piacere di farlo, di dedicare un omaggio verso personaggi o autori che ammira. Io gli autori di fumetto me li immagino così: sognatori sempre pronti a trasformare in segni le loro (e le nostre fantasie)
 Grazie e continua così

domenica 1 aprile 2012

Quale pesce d'aprile?

Oggi la rete offre due notizione agli appassionati di fumetti.
Troppo grosse per essere vere, troppo sospette nella loro data di uscita

Dan Di Dio, capo supremo della Dc Comics ha annunciato che il tanto decantato reboot del New 52 è già finito: a settembre  ci sarà un nuovo crossover "Justice crisis" che riporterà tutto al punto di partenza. Vecchia continuity e numerazione delle testate riportata al conteggio iniziale (un problema molto sentito per i collezionisti delle testate di Batman e Superman).
Anche se tutta l'operazione reboot fosse un disastro (e non lo è), mi sembrerebbe una retromarcia frettolosa e, alla fin fine, controproducente

Ma comunque è più credibile della strana vendetta attribuita dallo stesso sito a Alan Moore che si preparebbe a lanciare un parodia di Justice league per rispondere all'odiatissimo prequel di Watchmen. Si chiamerà Legal Squad. Gli eroi saranno Awesomeman, Ratman (Ortolani lo sa?), Super Cool Power Woman, Speedman, Water Guy (the "too cool to be popular" character), Emerald Beacon and Token Bionic Character

Moore ha più volte annunciato di non voler mai più scrivere fumetti e quindi sarebbe un bel ritorno, anche se spinto solo dal livore. 

domenica 25 marzo 2012

Silent Bob did right

Kevin Smith ha fatto moltissimo per gli appassionati di comics. Il suo film Clerks ci ha dato dignità in ambienti che mai avremmo potuto frequentare (non che ci tenessimo).
Ha dato una bella spallata a quel muro di pregiudizi che c'erano prima che i Geeks diventassero una forma culturale popolare accettata e poi addirittura considerata tra le più creative.
I suoi film sono più o meno riusciti, le sue sceneggiature di Devil o Green Arrow un pelo sotto la media. Al grande Silent Bob va riconosciuto di aver raccontato se stesso con grande onestà, tanto humour e un pizzico di poesia. Quelli che sono un po' come lui, devono essergli grati.
Il debutto del suo reality "Comic Book men" sul network Amc (quello che negli Usa trasmette The Walking dead) è stato accolto nella comunità degli appassionati americani con molte perplessità e non sono mancate le stroncature. Alla fine però sono arrivate anche delle buone recensioni, anche dai posti più impensati.
Il format è semplice e coraggioso: Racconta la vita al Jay & Silent Bob Secret Stash, negozio di comics e gadget realmente esistente nel New Jersey. Cosa succede? Chiunque ha passato un pomeriggio in una fumetteria lo sa.
Gli ascolti delle sei puntate sono stati buoni, e lo show è godibile. Anche se per apprezzarlo bisogna sapere bene l'inglese, conoscere una buona quantità di slang e avere un bagaglio di fumetti/cinema/tv/letteratura di genere da vero Nerd

Le accuse fatte al programma si possono raccogliere in due grandi categorie e arrivano soprattutto dagli stessi appassionati: una parte teme che vedere quattro 30/40enni (tutti maschi) che passano il giorno a parlare di fumetti/film e il tempo libero a leggere fumetti e film può solo aumentare la quantità di stereotipi che già colpiscono la categoria. Si teme di vedersi ritrarre come delle macchiette, dei disadattati e senza quella patina edulcorata che rende gli stessi disadattati "carinissimi" in Bing Bang Theory.

L'altra parte invece si sente "svenduta": un reality sul circo dei fan mette in secondo piano le opere, gli autori, il linguaggio, e tutto si esaurisce in una discussione sugli aspetti più superficiali e modaiole o al massimo sull'amarcord degli appassionati.

C'è del vero, ma i critici pretendono da Kevin Smith di raccontare un mondo in maniera più esaustiva e completa di quanto il programma voglia o possa fare. Con la solita schiettezza e autoironia Kevin racconta ciò che conosce bene. Almeno in parte tanti ci si riconosceranno, gli altri si divertiranno con le "stranezze" di questi pazzi fanatici. Procuratevelo

domenica 12 febbraio 2012

Williams disegna il futuro

Jh Williams III è qualcosa di più di una stella emergente, un bell'esempio dei suoi lavori li potete trovare nel suo sito personale. Vincitore di numerosi premi, ha già disegnato opere di assoluto livello come Promethea e la rivisitazione di Batwoman, sceneggiate rispettivamente di Alan Moore e da Greg Rucka. Con l'attuale gestione di Batwoman si sta dimostrando anche un valido co-sceneggiatore, ma è l'evoluzione complessiva dell'artista che merita una riflessione più approfondita, per le conseguenze che potrebbe avere sull'intera industria dei comics americani.
Nei 32 numeri di Promethea Williams ha imparato ad osare, ha colto a pieno la sfida di Alan Moore: cercare di esplorare l'essenza stessa dell'immaginazione umana, cercandone le origini e gli effetti. L'effetto narrativo non è di facile comprensione, ma spesso è riuscito a ottenere qualcosa di unico: sensazioni, concetti astratti trasformati in disegni. Un tale livello di suggestione non si vedeva da Arkham Asylum. In quel caso Grant Morrison e Dave Mckean diedero un esempio di quello che i fumetti possono raccontare e che invece è precluso ad altre arti più nobili come cinema e letteratura. A volte in Promethea si ha la sensazione ci sia persino "troppo" testo, quasi una zavorra di razionalità rispetto ad una specie di comprensione più istintiva e non verbale.
Nelle doppie tavole di Williams ogni ipotesi di griglia per le vignette "esplode" costringendo il lettore a leggere la storia orientandosi con i colori, con la composizione o semplicemente dall'intuizione (nell'immagine qui sopra le vignette possono essere lette indifferentemente in senso orario o antiorario e il sole al centro non è un elemento decorativo, ma è necessario a comprendere la trama).
Con Batwoman Eulogy, la mini apparsa su Detective Comics ormai due anni e mezzo fa, Williams ha messo la sua originalità compositiva al servizio di una storia più lineare, scoprendo che si può disorientare meno il lettore e aggiungere nuove dimensioni alla lettura. L'effetto è del tutto nuovo, da navigato lettore ho rivissuto quel senso di meraviglia dei primi effetti della colorazione digitale di pionieri come Steve Oliff o delle trovate della Wildstorm Fx e della Top Cow più di vent'anni fa. Esattamente come quel senso di novità dei primi anni novanta portò alla nascita della Image ed una rivoluzione di personaggi, linguaggi e formati, l'arte di Williams sembra il testimonial perfetto per il passaggio dalla carta all'Ipad. Le tavole in orizzontale "landscape" esplodono quando si "gira" il proprio tablet, sono perfette per essere zoomate nei particolari più nascosti e la megadefinizione degli schermi led fanno risaltare al meglio i filtri digitali applicati ai disegni. Il primo arco narrativo della serie regolare di Batwoman si chiamia Hydrology e gli effetti "liquidi" sono veramente meravigliosi. Batwoman potrebbe passare alla storia come il primo comics che è "meglio" leggere in video piuttosto che sulla vecchia carta. Un assaggio di futuro, non frutto solo di qualche scorciatoia tecnica, ma di un vero processo evolutivo del disegno.

giovedì 9 febbraio 2012

Perché dico sì a Watchmen before

Ho letto tutto (il miglior riassunto della vicenda lo trovate nel sito comicsbeat), ho meditato e ho cercato di aprire la mente. Sono settimane che mi arrovello, il prequel di Watchmen è un'idea azzardata ma giusta. Anche l'Autorità, Alan Moore in persona, può peccare di egocentrismo (e se non se lo può permettere lui), nè le sue argomentazioni, né quelle che ho letto in giro alla fine mi hanno convinto. Scoprire di voler dare una possibilità a "Watchmen before" - dopo un'istintiva e fortissima reazione di rigetto - è stata una sorpresa anche per me, ripercorrere come ci sono arrivato magari sarà utile anche a qualcun altro

Watchmen è un'opera chiusa

lo stesso Alan Moore ha detto che non gli risulta “che Moby Dick abbia un prequel”. Effettivamente è difficile pensare ad un'opera più compiuta e circolare di Watchmen. Un capolavoro che sembra un pozzo senza fondo di rimandi e significati, ma all'interno di un perimetro ben definito. Complesso e delicatissimo, funziona perfettamente come i molti orologi disseminati nel fumetto. La paura (che condivido) è che si finisca per “disegnare un paio di baffi alla Gioconda” giusto per sperimentare.
La sfida dei nuovi autori sarà quella di creare delle storie solide, che girano su tematiche importanti (la vera natura e funzione dell'eroe, la malvagità e la fallibilità umana) ma evitando il confronto diretto con il Mago al suo meglio. Ho più di una speranza a riguardo, per via degli attori coinvolti. Nell'ultimo punto chiarirò meglio il mio pensiero


La Dc è a corto d'idee pensa solo a riciclare

Ognuno ha il suo giudizio sulla qualità dei nuovi 52, il reboot (il riavvio) di tutte le grandi serie della Dc. Non le ho lette tutte, ma azzardo un giudizio negativo: se l'obiettivo era quello di ridisegnare il maniera coerente tutto l'universo supereroistico, si può dire fallito. Siamo lontani dalle “crisi” e anche da progetti come Kingdom come. Ci sono però singoli team e testate di livello: una manciata della Batfamily (Batwoman su tutti), Justice league e (scelta personalissima) Animal man, di cui mi piace la svolta horror.
Ma su questo punto voglio decisamente alzare la posta e lasciarmi andare a più di una frase forte. Le riletture e le reinterpretazioni sono il contributo più originale che il fumetto di fine novecento ha dato alla storia dell'arte di questo periodo: The Return of the dark Knight, Sandman e lo stesso Watchmen (con i suoi personaggi tratti dalle testate Charlton) non sono dei capolavori assoluti solo perché Frank Miller, Neil Gaiman e Alan Moore sono grandi scrittori e in quel momento più ispirati di chi li ha preceduti, ma perché hanno decostruito e manipolato icone esistenti utilizzando le idee degli autori originali e i sentimenti dei vecchi lettori come lievito narrativo. Processi analoghi a quelli che vediamo nelle Arti figurative “serie”, ma che non sono riuscite, dai tempi della pop art in poi, a produrre nulla di così perfetto e accessibile al grande pubblico.
E chiaro che non tutti i tentativi di decostruzione/ rilancio sono andati a buon fine, ma anche anche solo la minoranza più riuscita ha prodotto delle vere perle. Vogliamo privarci di tutto questo per non far torto fossanche al più sacro dei mostri sacri?



Si ma Moore è contrario
Vogliono citare ancora il Mago che in un'intervista di qualche tempo fa disse che i suoi personaggi erano sì come figli, ma spesso si sentiva come un genitore che li ha venduti agli zingari (un modo meravigliosamente Mooresco per ammettere che non ha più nessun diritto legale e che può ostacolare il progetto solo attraverso le sue potentissime scomuniche). Ora ogni tanto vede delle foto della loro nuova carriera come artisti del circo e non sa se essere felice per loro o meno. Noi che a quel circo ci andiamo spesso e indipendentemente dalla qualità dello spettacolo, possiamo dire che siamo curiosi di vedere cosa verrà fuori. Sono sicuro che se non fosse coinvolto direttamente e potesse parlarne in astratto lo stesso Moore sarebbe più morbido, non solo perché deve un pezzo importante del suo successo e personaggi d'altri (Swamp thing su tutti), ma perché un pezzo della sua poetica recente presuppone che i personaggi siano eterni, mentre i loro autori, sono piuttosto interpreti imperfetti e temporanei delle idee assolute che essi incarnano. E' l'idea iniziale di Promethea. Ma che dire della Lega degli uomini straordinari? Uso deliberatamente parole di Moore contro di lui:
in questa intervista dice tra l'altro


Quando sono entrato nel mondo dei fumetti preferivo creare personaggi miei, come Halo Jones. Ma la natura dei fumetti di allora prevedeva che ti venissero dati personaggi di altre persone e a quel tempo non ci vedevo niente di male. Mi diedero Swamp Thing di Lein Wein e lui stesso sembrava felice di cambiarlo, trasformarlo in qualcosa nuovo
Quindi la discriminante è l'ok dell'autore e se non proprio il creatore originale quello che più ha caratterizzato il personaggio, non a caso nella stessa intervista ricorda il progetto di Batman/Judge Dredd che lui abbandonò dopo aver parlato con John Wagner che "anche se non è il creatore del giudice è la persona a cui viene accreditato il suo successo". Il vero salto mortale Moore lo fa però quando stabilisce questo principio solo per i fumetti, mentre per la letteratura ci sarebbe piena libertà di furto e per due motivi: il primo è che "si è sempre fatto così" e il secondo è che di solito gli autori originali sono morti. Naturalmente è legittimo farlo, dice Moore, quando si prende un'icona della letteratura (magari della fine dell'800) e la si trasforma in un personaggio dei fumetti come in "League of extraordinary gentlemen"

Potrà sembrare che voglia spaccare il capello in quattro, ma in quel caso non sto "adattando" questi personaggi o i romanzi collegati, quello che sto facendo è rubarli. C'è una differenza tra fare un adattamento, che è male, e rubare totalmente un personaggio che è, fino a quando tutti gli autori sono morti e non li citi, del tutto giusto per me. Con i personaggi che sono stati creati da un vecchio uomo già tradito, sento che è diverso.

I prequel saranno una schifezza

Assodato che l'operazione è legittima e che il povero Moore ha la nostra ammirazione, ma non il nostro appoggio, rimane l'ultimo interrogativo: come sarà il risultato. Tutto dipenderà dagli artisti coinvolti che sono tanti e di diverso livello: Darwyn Cook scriverà Minute men e Silk Specter (disegni Amanda Conner); Brian Azzarello scriverà Comedian e Rorschach con i disegni di Jg Jones e Lee Bermejo; Strazynsky scriverà Nite Owl e Dr Manhattan con i disegni dei Kubert e Adam Hughes. A Lein Wein, editor del Watchmen originale, la miniserie Ozymandias (con ai disegni uno dei miei favoriti di sempre Jae Lee) e l'appendice sui pirati Curse of crinsom corsair. Dal punto di vista dei disegni c'è da aspettarsi meraviglie da Bermejo (guardate qui), Lee, grande solidità da parte di Hughes e Kubert, il resto vedremo. Strazynsky è quello che dovrebbe dare il tono a tutto il progetto e mi sembra anche quello con le idee più chiare.
Ma dopo tutti questo cianciare vi dico cosa mi ha fatto davvero cambiare idea: Azzarello che dice: "Avevo una storia veramente viscerale su Rorschach". Chi non vorrebbe leggerla con un Bermejo così in forma?